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    Maurizio Cheli: “La mia vita nello spazio, il sogno di Marte e il Moon Village”

    L’astronauta all’evento del Corriere Innovazione: in questo settore Italia Paese ad alta tecnologia

    di Redazione Open Innovation | 30/11/2018

La cosa più bella imparata dalla vita nello spazio? “Lavorare in team”. La più brutta, “vedere cosa stiamo facendo al nostro pianeta: da lassù siccità o deforestazioni non sono più solo un concetto, ma diventano immagini più potenti di mille parole”.

Così si racconta Maurizio Cheli, che nel 1991 da pilota militare ha superato la selezione per diventare astronauta dell’ESA, Agenzia Spaziale Europea: qualifica che però non si traduce automaticamente nella possibilità di andare in orbita. Lui ce l’ha fatta dopo due anni di addestramento, aspettando il suo turno alla NASA: per fare l’astronauta, scherza allora, serve anzitutto pazienza.

Cheli si presenta al pubblico nella Colazione Digitale del 30 novembre che ha aperto la giornata-evento del Corriere Innovazione, proseguita poi con il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, la virologa Ilaria Capua e il genetista Luigi Naldini.

 

 

LA VITA NELLO SPAZIO

Dunque la quotidianità negli spazi ristrettissimi dello Shuttle, dove collaborare significa sopravvivere e non sapere fare squadra espone a drammatici pericoli. Le grandi potenzialità del corpo umano, che pure ha bisogno di tre giorni per riequilibrarsi e abituarsi all’assenza di peso. E poi il sogno di raggiungere Marte (“partirei domani stesso”), la scelta di avviare una propria impresa, il ruolo della tecnologia e dell’innovazione. Di questo parla Cheli, intervistato dall’editorialista del Corriere della Sera e responsabile editoriale Corriere Innovazione Massimo Sideri.

 

“Innovare non significa solo inventare qualcosa di nuovo, ma anche trasferire tecnologie utilizzate fino a quel momento in un determinato settore, ad altri settori – nota ad esempio l’astronauta -. Dobbiamo ricominciare a ragionare in modo trasversale: è fondamentale per i manager, nella scienza e ancor più nello spazio, che richiede competenze multidisciplinari”. Lo aveva ben spiegato un altro astronauta, Paolo Nespoli, sul palco del Teatro alla Scala come ospite della Giornata delle Ricerca di Regione Lombardia: sulla Stazione Spaziale Internazionale devi saper fare di tutto, per poter affrontare ogni imprevisto.

 

Il rischio invece, ha spiegato Cheli, è di continuare a percorrere la strada della specializzazione, chiave necessaria ma non unica per affrontare le sfide del futuro. Dalle quella più complesse a quelle quotidiane. Non solo, anche il ricorso alla tecnologia richiede una riflessione, come spiega citando quello che chiama “il paradosso dello spazio” dove tutti pensano ci si affidi alle tecnologie più recenti, quando lassù quello che conta è soprattutto che siano mature e affidabili.



 

LE POTENZIALITA’ DELL’ECONOMIA SPAZIALE

 

Altra caratteristica della vita in orbita è l’organizzazione improntata all’economia circolare: visti i costi ingenti – portare nello spazio un chilogrammo di materiali costa 10 mila euro – tutto viene recuperato. E questo, spiega Cheli, rappresenta uno dei contributi che l’economia dello spazio può portare alla nostra quotidianità sulla terra, con soluzioni intelligenti per risparmiare acqua ed energia. Molto promettente secondo l’astronauta è anche il mercato dei sensori e di tecnologie satellitari, mercato su cui potranno affacciarsi anche realtà medie e non solo colossi.

 

L’economia dello spazio insomma non è fatta solo dal turismo spaziale alla Elon Musk. E l’Italia ha ottime chance: “Nel mondo si parla di noi per la moda e per il cibo, ma voglio ricordare che il nostro è anche un Paese ad alta tecnologia – rivendica Cheli - Siamo leader mondiali in certi settori, gli elementi pressurizzati sulla Stazione Spaziale Internazionale ad esempio arrivano per il 50% dall’Italia, tanto che anche i cinesi vogliono collaborare con noi su questo fronte”. Senza dimenticare che il ritorno dato dall’economia spaziale è di 1 a 8, le potenzialità di crescita insomma sono enormi.

 

Quanto all’esplorazione spaziale, se “oggi appare meno evocativa, forse perché ci sono molte più distrazioni”, l’astronauta scommette che le stelle sopra di noi torneranno a calamitarci quando si parlerà di portare l’uomo su Marte: allora “lo spazio sarà di nuovo sinonimo di avventura, come lo è stato per la mia generazione”. Ma ci si arriverà, sul pianeta rosso? Questione “di addestramento e soprattutto di volontà politica e collaborazione tra Stati”. Intanto però, il prossimo passaggio che potrebbe essere deliberato nel 2019 dall’Esa è un ritorno sulla Luna, con un vero e proprio Moon Village.

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