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    Il quadro del mercato del lavoro è complesso e pieno di chiari e scuri

    di Elga Apostoli

Chi si occupa di formazione e mercato del lavoro ha imparato quanto sia difficile gestire la relazione tra domanda e offerta di lavoro, in relazione alla programmazione dei percorsi di qualificazione e alla preparazione delle persone con le competenze necessarie “di domani”. Negli ultimi venti anni almeno abbiamo assistito periodicamente a previsioni che dovevano orientare le scelte formative e i programmi di istruzione e formazione per garantire il migliore matching tra domanda e offerta. In quasi tutti i casi abbiamo visto come sia difficile orientarsi in uno scenario così veloce e complesso. E oggi come siamo messi?

Un articolo del Corriere di qualche giorno fa a firma Paolo Pica, riprende questo modello di analisi, a partire dalle dichiarazioni di Donato Iacovone, AD di EY. Si tratta di un quadro molto interessante: la prospettiva del mercato del lavoro dei prossimi anni (breve e medio periodo) non è rosea. Il fabbisogno di occupazione non è significativa sul piano dei numeri, si parla di 2,5 milioni di posti di lavoro nei prossimi cinque anni. E’ un dato buono o no? Non sembra essere così positivo se si considera la dinamica demografica dell’Italia (quindi una buona parte dei nuovi posti di lavoro sono rappresentati dalle tante persone che andranno in pensione) e la composizione qualitativa in termini di competenze richieste. In linea con le previsioni già acquisite, molti nuovi posti di lavoro riguardano i servizi alla persona, il turismo e altre professionalità legate al mercato dei diplomati (addetti e tecnici). Si tratterà di una quota importante, grande quanto quella riservata ai laureati che, invece, fanno riferimento a nuove competenze e profili, su cui il sistema universitario non è ancora aggiornato.

In sintesi, lo scenario (per quanto dinamico e provvisorio) è quello di un mercato con non troppe opportunità, in cui gli spazi sono ristretti dall’automazione (a tutti i livelli) e in cui si delineano due aree: quella delle professioni con non elevata specializzazione, probabilmente legate a maggiore flessibilità e precarietà, e quella ad alta specializzazione, legata alle nuove competenze di e-leadership e alta specializzazione (per dirla secondo le tassonomie definite da AgID), con una difficoltà nella individuazione e formazione di tali figure.

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Ultimi 3 contributi di 3 totali

Maurizio Mesenzani

02/07/2018 alle 11:31

Ciao Elga, ho letto con interesse il tuo post. C'è un punto su cui mi piacerebbe approfondire, magari anche in un simposio o in un workshop dedicato. Sono diversi anni che studio gli andamenti del mercato del lavoro (anche insieme agli uffici placement di UniBicocca ad es.). Tu ad un certo punto dici "gli spazi sono ristretti dall'automazione": io qui temo invece che gli spazi siano "allargati" dall'automazione. E temo che l'offerta (cioè le persone che cercano lavoro) non siano allineati alla domanda (cioè i posti di lavoro richiesti dalle aziende): l'evoluzione tecnologica ha spostato secondo me verso l'alto l'asticella delle necessità; alle imprese servono persone skillate, in cui l'uso delle tecnologie evolute è un "pre-requisito", in cui le competenze basic di comunicazione/negoziazione/gestione sono molto più alte di quelle richieste negli anni scorsi, questo grazie all'automazione e alla digitalizzazione dei processi (anche quelli di back-office). Parlando con altri imprenditori ci troviamo sempre a discutere della difficoltà di trovare persone preparate, capaci e motivate: poi guardiamo i dati della disoccupazione e ci chiediamo dove siano tutti quei disoccupati, cosa sappiano fare davvero, come passino le loro giornate, come si stiano preparando per entrare nel mercato del lavoro...

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ALESSANDRA DEFILIPPIS

21/06/2018 alle 11:04

Per quello che è la mia esperienza lavorativa negli anni il mercato del lavoro sfortunatamente è andato peggiorando: faccio riferimento sia alla La prospettiva lavorativa a breve che a medio termine. Molti nuovi posti di lavoro saranno orientati al turismo, ai servizi alla persona . Questa grande fetta di mercato non sarà possibile compensarlo con i neo laureati, che invece hanno attinenza con nuove competenze e profili, su cui il sistema universitario non è ancora aggiornato.

A questo punto ecco la famosa “fuga di cervelli “ verso l’estero, perché non rinnovare la nostra struttura scolastica e formativa consapevoli delle nuove tendenze? Si potrebbe partire dalle scuole superiori e programmare un’evoluzione direttamente proporzionale tra domanda – offerta? Formazione che potrebbe anche continuare all'università con dei corsi trasversali ai piani formativi e magari poi nelle aziende con i corsi finanziati.

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Giuseppe Catalani

21/06/2018 alle 07:48

Forse affronto questo argomento con troppa faciloneria, penso che il panorama, nelle sue linee guida non sia diverso dal passato. In una qualsiasi organizzazione esiste una scala di responsabilità, affidata a persone che hanno una formazione che va: dallo specifico-ridotta alla generale-ampia e le responsabilità sono ridotte e ampie rispettivamente. Il problema della preparazione è vincolato al grado di automazione del comparto considerato, così come il valore dell'occupazione. Se il passato ricorreva alla manodopera a tutti i livelli di attività, l'industrializzazione, nella sua evoluzione, in termini di efficienza del rapporto manodopera/prodotto, ha richiesto meno manualità. Questo ha e comporta, una riduzione della richiesta di maestranze. Se nel passato la tecnologia era il risultato di pensiero e manualità, oggi, tendenzialmente, è solo di pensiero, essendo la manulaità sostituita dalle macchine. Per cui contrazione di manodopera da una parte e ampliamento delle conoscenze dall'altra. Ampliamento dovuto alla necessità di rapportarsi e gestire la tecnologia, maestranze autosufficienti, e di avere gestori di risorse preparati su argomenti di più ampia portata. Il sistema dell'istruzione deve evolvere anch'esso, senza diementicarsi che la preparazione di base è quella che consente di comprendere, ma soprattutto di gestire l'evoluzione. Oggi troviamo risorse con scarsissime conoscenze di base (non sanno fare le divisioni senza calcolatrice-qualcuno potrebbe dire che non serve, a mio parere nulla di più sbagliato, ci si dimentica il significato della divisione, che è la capacità di utilizzare la logica e la logica è la base di qualsiasi processo), intrisi di nozioni che non comprendono (non ne vedono l'applicabilità). Non riescono a usare la logica, che non è l'espressione matematica di un pensiero, ma il percorso di analisi di un problema. Non hanno nozione del rapporto teoria e pratica e questo già in chi insegna, in quanto riversa sulla prima un valore superiore a quello che nella realtà poi ha. Per cui l'automazione comporta: presenza di maestranze sottoqualificate, da adibire a quelle attività di basso profilo economicamente non automatizzabili; maestranze (poche) specificatamente qualificate, per la conduzione dei processi e maestranze genericamente qualificate (molto poche) per gestire i sistemi. Nulla di diverso dal passato, ovvero cambiano i rapporti numerici tra le figure e aumenta il divario di conoscenze tra le prime e io seconde.

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