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    Indicazioni per non perdere la sfida della digital transformation

    di Luigi Rosati

Indicazioni e consigli che non vengono dal sottoscritto ma da una figura di spicco dell’economia come Roger Abravanel che, sul Corriere, di recente ha pubblicato un articolo che lancia un allarme ma propone anche delle possibili vie d’uscita.

Innanzitutto il problema; il digitale - secondo Abravanel - è la nuova rivoluzione, dopo quella industriale e post-industriale. Un nuovo modello e un insieme di paradigmi che comportano il passaggio ad un nuovo assetto che coinvolge, in prima persona, i lavoratori e le imprese. Ed una rivoluzione che se non viene compresa e gestita rischia di lasciare pozzi vuoti e deserti dietro di sé, perché i posti di lavoro si trasferiscono da aree di competenza e di operativa consolidate (vecchie) a nuove strutture, posizioni, presidi di competenza. Milioni di lavori che spariscono a favore però di nuovi; un cambiamento che può essere traslazione oppure mero azzeramento. E in questo un ruolo centrale lo assume l’istruzione, che è riflesso della cultura sociale e, ancor di più, dell’amministrazione pubblica (e politica) di un Paese.

E qui Abravanel rincara la dose sottolineando gli scarsi risultati e la condizione attuale della PA italiana, malgrado il riconoscimento del buon lavoro svolto dal Team Digitale guidato da Diego Piacentini. Su questo punto ricordiamo anche i timori espressi da Carlo Mochi Sismondi, di un azzeramento del percorso fin qui svolto, in occasione della presentazione del prossimo FORUM PA 2018.

Allo stesso modo, l’autore, sottolinea la deblezza dell’impresa italiana, ancorata ad un modello di PMI troppo fragile e scarsamente attrezzata e determinata, a interpretare la sfida del digitale.

In questo scenario, tuttavia, Abravanel individua due soluzioni o meglio “ingredienti”, utilizzando le sue parole, per vincere la sfida della DX in Italia:

1. il digital talent, da intendersi non come competenza e capacità informatica ma come un nuovo modello di competenza che integra e si rafforza nella sovrapposizione e contaminazione tra saperi tecnologici, umanistici, visione strategica e capacità di fare vero lavoro di rete e open innovation;

2. un mercato evoluto, ovvero compiere quello scarto culturale che ci consenta di sfruttare le nuove tecnologie e i nuovi assetti per poterci confrontare con un mercato senza confini (non solo in termini globali ma anche di specifiche opportunità da poter andare a scoprire e sfruttare, senza muoversi dalla propria scrivania).

Chiudiamo con la stessa speranza espressa da Roger Abravanel: un Paese nuovo che riveda le proprie priorità, che allunghi lo sguardo dalle pagliuzze di un dibattito da cortile per lanciare lo sguardo verso una prospettiva nuova, in grado di fare del digitale l’ingrediente di un nuovo modello di vita.

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Ultimi 2 contributi di 2 totali

Alessandro Lapomarda

30/04/2018 alle 19:29

Ciao Luigi, ottime riflessioni: sulla digitalizzazione stiamo gestendo diversi interventi di formazione per riallineare le conoscenze delle persone. Gli ambiti del digital marketing sono tra gli argomenti più richiesti sia nella aule per i neoassunti sia nelle aule di formazione continua per i lavoratori più anziani. Le parti interessanti citate sono relative alla contaminazione tra diversi saperi, tecnologici e non. Molto spesso ci capita di fare percorsi integrati, con aule, training on the job ed e-learning, proprio per fare in modo che le persone possano imparare "facendo" e sperimentare.

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Maurizio Mesenzani

30/04/2018 alle 15:02

Grazie Luigi, come sai seguo da tempo i temi della digitalizzazione, sia nel mondo delle imprese private che nella PA, credo che i temi toccati nell'articolo che citi siano assolutamente strategici, così come le attività svolte dai team di cui parli. In particolare vorrei sottolineare la parte sui lavori che spariscono rispetto a quelli che nascono come nuovi.

Qui credo che le opportunità siano davvero tante, sia per generare nuova occupazione (per i giovani ad esempio) sia per riqualificare il personale già negli organici, ciò dipende secondo me da fattori istituzionali e normativi ("obbligare" alla digitalizzazione ad esempio, o incentivare con sostegno economico e finanziario, sgravi fiscali ecc), ma anche da fattori culturali: troppo spesso assisto a dibattiti in cui si "critica" il progresso digitale, in cui si contrappongono posizioni "nuovo-vecchio", per fare audience o cercare l'applauso, troppo spesso vedo timori e resistenze verso le soluzioni digitali, anziché curiosità, entusiasmo e capacità di prendersi rischi.

Sarebbe bene tenere presente che dietro ai processi di digitalizzazione, come dietro a ciascuna "innovazione", oltre alle competenze tecnico-specialistiche ci sono anche elementi più "soft", quali appunto la curiosità, la voglia di "fare" e di "rischiare", assumendosi repsonsabilità e mettendoci la faccia, ad ogni livello.

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