• Immagine della discussione

    It's time for ageing

    di piero valentini

E' stato presentato la settimana scorsa alla Camera il ventiseiesimo rapporto annuale ISTAT.

Nei titoli a effetto dei media, ad assumere un ruolo di primo piano è il processo di invecchiamento del paese: “Ogni 100 giovani si contano 170 anziani”. “Da qui a dieci anni per 100 giovani in Italia ci saranno ben 217 anziani” in un paese che “dopo il Giappone è il più vecchio al mondo”.

Come ci stiamo regolando per gestire questo mutamento e il suo impatto sui diversi fronti che interesseranno la nostra vita? I nostri sistemi economici e sociali sono attrezzati per fronteggiare le diverse sfide che appaiono ad un orizzonte nemmeno tanto lontano? In che modo cambieranno le nostre abitudini e le tecnologie che usiamo?

Certo ultimamente il nostro paese non sembra brillare per capacità di programmazione di medio e lungo periodo eppure sarebbe opportuno raccogliere esperienze di ricerca e di innovazione che si sono occupate di questo tema in modo da poterne mettere a sistema i risultati. Ed evitare di continuare ad accogliere le notizie sui trend demografici (ben noti da almeno un ventennio) con un misto di stupore, angoscia e fatalismo.

Non è azzardato ipotizzare che nel guardare a questo tema molto probabilmente scontiamo un problema di ritardo culturale. Tendiamo cioè a categorizzarlo ancora come una questione residuale come se riguardasse una porzione marginale della popolazione mentre è evidente che la notizia sottolinea proprio l'accrescimento della quota della popolazione anagraficamente anziana; tendiamo a pensarlo poi come una notizia necessariamente triste e dunque da allontanare quando invece è ormai evidente che le cause principali di questa tendenza vanno ricercate, sì nella riduzione dei tassi di fertilità, ma anche nei successi che hanno condotto all’allungamento dell’aspettativa di vita media; inoltre tendiamo a pensare all'invecchiamento come un'anomalia italiana, quasi da nascondere con vergogna, quando sono anni che l'OCSE spiega che si tratta di un trend che riguarda tutti i paesi sviluppati.

A ben vedere dunque, smettere di rimandare l'investimento nel cercare e perfezionare soluzioni in questo campo ci potrebbe consentire non solo di migliorare la nostra vita e quella dei nostri cari, ma anche di disporre di buone pratiche in un campo che interessa fortemente il mondo intero e lo farà sempre di più.

Il tema è vasto, è vero, ma per fare la differenza probabilmente oltre a leggere gli impatti sui sistemi attuali occorrerebbe, anche a partire dai contributi OECD, mettere a fuoco come nell'invecchiamento si producono disuguaglianze e come prevenirle.

Ecco allora che il rapporto annuale presentato pochi giorni fa dall'ISTAT contiene alcuni spunti importanti dato che non solo elenca i dati demografici ma dedica un focus importante ai modi in cui le reti sociali influiscono sulla qualità della vita degli italiani. E' una pista importante per immaginare il cambiamento, ossia di smettere di subire l'ageing e iniziare a renderlo davvero attivo.

CONDIVIDI
I nostri canali social

Ultimi 2 contributi di 2 totali

Luca Raschi

31/05/2018 alle 19:26

Ciao Piero, tutto quello che hai scritto è uno spunto di riflessione molto interessante. Occupandomi di design, mi viene da pensare che le realtà che si occupano di servizi e innovazione, spesso tendano ad omologare queste fasce di età o a non considerarle in maniera adeguata quando si progetta per "i grandi numeri", realizzando così sistemi che vanno bene un po' per tutti (o meglio, tutta la popolazione "digitale") ma che non si adattano alle abitudini e alle possibilità degli anziani. A volte anche complice la convinzione che gli anziani siano estranei alla tecnologia o a determinate tipologie di servizi. Di contro, in altri casi si realizzano progetti specifici per queste categorie di utenza come se fossero una nicchia: è positivo che vengano sviluppati servizi adeguati, ma allo stesso tempo spesso rischiano di non dialogare con le altre soluzioni in uso dal resto della popolazione. Tutto questo produce un divario e, come dici tu, diseguaglianze tra le generazioni. Questi dati Istat ci palesano che non è più possibile generalizzare e che chi si occupa di progettare servizi ed esperienze, pubblici o privati che siano, necessitano di adeguare il loro metodo e le loro soluzioni.

CONDIVIDI

Luigi Rosati

26/05/2018 alle 19:08

Grazie Piero, ti segnalo un progetto che stiamo portando avanti nell'ambito del programma Erasmus+, si chiama KEEP50+ ed è centrato sui modelli di formazione all'imprenditorialità dedicati ai lavoratori over 50 (www.keep50.eu). L'iniziativa si pone all'interno del dibattito e delle iniziative che riguardano gli over aged workers; in Italia si è cominciato a parlare del problema degli over 40 alla fine degli anni '90, quando ci furono i primi licenziamenti eccellenti di manager, tutte persone in età matura e con alto profilo che dovevano affrontare le nuove caratteristiche di un mercato del lavoro non più legato a dinamiche tradizionali. La questione dell'invecchiamento è anche questo: l'esigenza di ripensare il modo in cui l'esperienza lavorativa si sviluppa nel ciclo di vita delle persone, richiede prospettive nuove e propone patti nuovi, tra persone e lavoro.

CONDIVIDI