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    Remuzzi: “Un successo il farmaco per un solo paziente. Ma ci sono dei limiti”

    Dopo il caso della piccola Mila intervista al Direttore dell’Istituto Mario Negri

    di Redazione Open Innovation | 16/10/2019

È un risultato eccezionale - reso noto negli ultimi giorni - quello del Milanese, il farmaco creato in tempi record negli USA per curare una singola paziente da cui quindi ha preso il nome. Un risultato che apre ancor più la strada a quella che oggi tutti chiamano medicina personalizzata, ma che deve interrogarci tutti per capire se davvero questa rappresenta l’orizzonte e il futuro della ricerca scientifica. Questa la riflessione e in parte il monito del professor Giuseppe Remuzzi: nefrologo di fama internazionale, Direttore dell’Istituto per le Ricerche Farmacologiche Mario Negri e uno dei 15 giurati del Premio “Lombardia è ricerca” di Regione Lombardia.

Professore, perché quello della piccola Mila - colpita negli USA da una malattia rara, per cui è stato creato un farmaco specifico e mirato - è un caso emblematico di Medicina Personalizzata?

“È quasi senza precedenti. Mila ha sei anni e soffre di cecità, convulsioni, difficoltà a coordinare i movimenti. Quando la bimba ha tre anni, i genitori si erano accorti che qualcosa non andava: la piccola non parlava bene e presentava una regressione sociale. Una risonanza magnetica evidenzia una modesta atrofia cerebrale e cerebellare: cervello e cervelletto insomma non si sviluppano ma al contrario si atrofizzano. Non riescono ad avere una diagnosi, dopo molte ricerche una biopsia della cute fa scoprire accumuli di una sostanza che ha l’aspetto di impronte digitali: ‘sono inclusioni lisosomiali’, dicono i medici. Di cosa si tratta? Di un accumulo di grassi e proteine che caratterizza una delle diverse forme di malattia di Batten, patologia rara ed ereditaria che colpisce il sistema nervoso centrale.

Il sequenziamento del genoma di Mila rivela la mutazione a carico del gene MFSD8 (così si chiama in termini tecnici), indispensabile per la produzione dell’enzima capace di impedire l’accumulo di proteine.

A questo punto, grazie a una serie di iniezioni di frammenti di RNA fatti apposta per silenziare o correggere errori nella trascrizione del gene se ne ripristina la funzione. Un caso raro, perché solitamente non si riesce a farlo in modo tanto preciso e dunque efficace.

Oltretutto a questo traguardo si è arrivati in tempi molto rapidi: dopo la sperimentazione in vitro a livello cellulare si è passati a quella in vivo sui ratti, per testare eventuali effetti collaterali che però risultano assenti; quindi allo studio clinico direttamente su Mila, così che dopo neanche un anno da quando la paziente viene conosciuta dagli enti regolatori il farmaco realizzato per lei riceve un’autorizzazione N1, cioè per un solo paziente: altro fatto rarissimo”.

Quali sono stati gli effetti del farmaco messo a punto?

“Bisogna capire che non ha potuto far regredire le lesioni che c’erano già, non ha corretto la cecità, per esempio, ma le convulsioni si sono ridotte in modo netto: se prima Mila soffriva di attacchi epilettici da 15 a 30 volte al giorno, grazie al farmaco ci sono stati giorni in cui non ha avuto affatto convulsioni, altri in cui queste si sono ridotte anche dell’80%, migliorando così la sua qualità della vita. Ma non si tratta solo di questo: al di là del caso di Mila, il percorso realizzato apre una strada nuova, bella e importante per farmaci mirati, soprattutto per molte malattie rare”.

Si va dunque verso farmaci tarati sul singolo paziente? Davvero si riuscirà a svilupparli in tempi così stretti anche in altri casi?

“È un esempio che potrebbe ripetersi, certo occorrerebbe anzitutto individuare una mutazione genica specifica, riuscire a riprodurre il difetto genetico in modo preciso e a correggerla prima in vitro, poi sugli animali. Questo che è già difficile, in Italia lo è ancora di più, perché abbiamo un’impostazione troppo ‘conservativa’ nell’autorizzazione dei farmaci per patologie rare. Il farmaco per Mila è stato sviluppato all’Ospedale pediatrico di Boston, forse il posto migliore al mondo per curare un bambino. Anche in Italia abbiamo bravissimi medici ricercatori, ma con risorse infinitamente minori per la ricerca e poi con tutta una serie di altri ostacoli”.

Di quali ostacoli parla?

“Ad esempio sta diventano difficilissimo sperimentare su topi e ratti, occorrono le autorizzazioni del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità e questo va benissimo, i tempi però sono davvero troppo lunghi: se una ricerca deve aspettare molti mesi per avere il via libera all’utilizzo di pochi ratti è chiaro che esce dalla competizione internazionale. E ora ci sono leggi ancora più restrittive su questo punto”.

C’è anche da dire che la famiglia della bimba statunitense ha raccolto tre milioni di dollari per finanziare la ricerca del farmaco, una cifra enorme…

La medicina cosiddetta ‘di precisione’, tarata cioè sulle caratteristiche del singolo paziente e quindi sinonimo di personalizzata, non è una novità di oggi. La Medicina Personalizzata c’è sempre stata, quella di oggi non è più precisa di quella delle ere precedenti corrette per le conoscenze allora disponibili. Evidenza, sintesi, giudizio clinico e preferenza dell’ammalato fanno parte della precisone, senza contare che il più bell’esempio di medicina di precisione che conosco io, e che per ora è rimasto insuperato, risale al 1954. Si tratta del trapianto di rene fatto (guarda a caso sempre a Boston) fra Richard e Ronald Herrick, due gemelli identici: niente di più ‘personalizzato’ perché il sistema immunitario del donatore e del ricevente erano identici e questo ha protetto il ricevente dal rigetto in un’era in cui di farmaci antirigetto non si parlava ancora.  

Detto questo, sulla MP ci sono delle domande che dobbiamo porci: ha senso arrivare a farmaci iper-personalizzati ma costosissimi, che solo alcuni pazienti e solo in certe aree del mondo possono permettersi? Ha senso investire in questa direzione, se crea disuguaglianze ancora più profonde di quelle che ci sono già? O non sarebbe più produttivo concentrare la ricerca su farmaci che diano risultati sul maggior numero di persone possibili?

Non si sono risposte semplici, su questo è indispensabile un confronto tra tutti gli attori interessati: pazienti, medici, governi, industria della salute che certo deve anche avere un profitto, perché altrimenti i costi della ricerca farmacologica si fanno insostenibili. La politica deve comunque dare un’indicazione: scegliere e anzi estremizzare la strada della Medicina Personalizzata, o puntare invece sulla direzione opposta? Credo che in medicina non ci sia nulla di impossibile, se si hanno risorse e competenze, ma bisogna orientarle. Siamo sicuri che nella cura dei tumori non sia meglio impegnare altrettante risorse nel cercare di trovare un farmaco che vada bene per tutti i pazienti, anziché spendere cifre da capogiro per trovarne uno per ciascun paziente? Risposte per adesso non ce ne sono, ma è solo se ci poniamo continuamente delle domande che la ricerca va avanti”.

 

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