Redazione Open Innovation

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Pubblicato il 21/08/2020

Pubblicata il 21/08/2020 alle 11:01
Ultimo aggiornamento: 21/08/2020 alle 11:01
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21 agosto 2020

L’imprenditore, Civic Leader Obama Foundation, fa incontrare studenti e aziende per progetti sociali

Valentino Magliaro ha meno di trent’anni, è uno degli under 30 segnalato da Forbes Italia, Civic Leader per la Fondazione dell’ex presidente USA Barack Obama, e nonostante abbia alle spalle un passato da studente “non ottimo” - o forse proprio per questo, spiega - la sua attenzione si è concentrata sulla scuola e sulle sue potenzialità.

Magliaro si definisce “Social entrepreneur focused on Education, eSport & EdTech”: la società che ha fondato, “Humans to Humans”, realizzare progetti sociali e di educazione mettendo in contatto aziende e studenti, per dare loro competenze nuove.

Magliaro, ci racconta la vostra formula?

“Prendiamo un’azienda che si occupa di energia: anche quando vuole veicolare valori come quello della sostenibilità, di solito li comunica in un linguaggio molto tecnico. E qui entriamo in gioco noi, portando i loro manager nelle scuole insieme però a figure che siano vicine ai ragazzi: e cioè influencer, youtuber, instagrammer ovvero i nuovi idoli dei ragazzi, di un’età più vicina alla loro.

Quello che facciamo è formare queste figure sul contenuto tecnico proposto dall’azienda e poi portarli nelle aule, per creare impatto sociale. Funziona perché il loro linguaggio è informale: abbassare il ‘tono’ della conversazione non vuol dire essere meno autorevoli, ma poter raggiungere tutti.

È un incontro utile per le scuole, che così ricevono input e conoscenze che altrimenti non saprebbero o potrebbero trattare. Ed è un investimento positivo per l’azienda: gli studenti vengono a contatto con il brand da un punto di vista diverso, che non è solo quello del prodotto. Un altro esempio può essere quello dell’educazione finanziaria: da una parte abbiamo una banca o un’assicurazione, dall’altra ragazzi che non hanno competenze su come gestire dei soldi”-

E durante il lockdown?

“Abbiamo messo a disposizione la piattaforma contenuti.it, in cui abbiamo reso accessibili a scuole e studenti contenuti molto tecnici forniti dalle aziende o da organizzazioni internazionali, tradotti come sempre in un linguaggio comprensibile.

Alcuni temi? Dal cambiamento climatico all’Intelligenza Artificiale (contenuti da IBM), dalla deforestazione (con il supporto di Rain Forest Alliance) al coding (con l’aiuto di WeTurtle), tutti organizzati in mini corsi gratuiti.

Ecco, a partire dall’esperienza degli ultimi mesi che tipo di evoluzione prevede, o auspica, per la scuola italiana?

“Quello che abbiamo visto in questi mesi è una maggiore consapevolezza dell’importanza delle relazioni umane, che poi è l’intuizione alla base di ‘Humans to Humans’, dove crediamo che alla base di ogni successo - sia scolastico sia lavorativo - ci sia un incontro tra persone.

Questa dunque è la vera opportunità che vedo ora: tornare a far incontrare le persone per parlare di valori, e ampliare anche il tipo di persone che si incontrano. Già oggi, la scuola non è più quel posto fisico dove lo studente incontra solo i docenti e dove sono solo i docenti a trasferire conoscenze. Se oggi sul web si può trovare ogni tipo di informazioni, dobbiamo riuscire a rendere la scuola un hub di innovazione fisico, dove persone di generazioni e realtà diverse possono incontrarsi per diffondere sapere e stimolare la curiosità di ogni tipo di studente, qualunque percorso poi intraprenderà. Questo, per me, è il compito della scuola: diventare uno spazio di contaminazione.

Anche perché gli studenti di oggi hanno accesso a un mondo impensabile anche per quelli della mia generazione. A 17 anni io non potevo avere un mio conto personale con cui pagare prodotti on line, oggi con le carte prepagate i giovanissimi hanno una loro autonomia di scelta negli acquisti. Noi possiamo portare etica in queste scelte, sul modo in cui queste possono avere impatto su ambiente e territorio, e consapevolezza nell’uso del denaro grazie al ‘dialogo’ scuole e aziende”.

Questa è l’idea di fondo del suo percorso, portare persone diverse nelle scuole. Per questo l’aveva chiamata anche Expo?

“Sì. Perché già prima dell’appuntamento, nel 2013-14, avevo trovato il modo di raccontare in modo semplice e chiaro cosa fosse Expo agli studenti - in un momento in cui, tra l’altro, se ne parlava in modo anche negativo. Mi ero attivato perché avevo visto che il ‘progetto scuola’ di Expo era in realtà una comunicazione istituzionale ai dirigenti scolastici, con solo un link per invitare le classi a visitarlo. Quello che abbiamo fatto allora - eravamo un gruppo di ragazzi di 19 anni - è stato di promuovere un progetto di storytelling su Expo, che ha raggiunto una settantina di scuole in tutta Italia e oltre 70 mila studenti.

Questo passaggio ha orientato poi la mia vita professionale: mi sono ritrovato a lavorare come responsabile comunicazione del gruppo Spaggiari - che fornisce servizi alle scuole -, proprio per creare progetti educativi con le aziende per gli istituti di tutt’Italia”.

A proposito di valori da trasmettere nelle scuole: crede che dopo l’emergenza Coronavirus il tema della sostenibilità starà ancora a cuore ai più giovani, come nei mesi degli Strikes for Future?

“Credo che per loro rimarrà un tema forte, i ragazzi hanno capito la questione ambientale è centrale. E il ministero l’ha recepito, ad esempio ha introdotto l’educazione ambientale nei progetti di educazione civica. Il punto è sempre chi portiamo a parlare di questo tra i ragazzi:

non basta ‘cavalcare’ il tema, servono percorsi seri e strutturati. I giovani ormai chiedono di dimostrare un’attenzione al tema anche nei comportamenti concreti. C’è un dato, che ricordo: a livello europeo i giovani in cerca di lavoro a parità di salario preferiscono puntare su aziende che hanno dei valori e agiscono in modo coerente con tali principi”.

Torniamo a quest’idea della scuola come Hub di innovazione: come aprirsi di più al territorio?

“Il primo anno dopo il diploma all’ITE Tosi di Busto Arsizio, insieme ad altri ex rappresentanti di istituto abbiamo chiesto la possibilità di usare gli spazi scolastici dalle 17 alle 23 per le ripetizioni e per attività sportive. In questo modo, in due mesi abbiamo portato a scuola - in orari in cui altrimenti sarebbe stata chiusa - più di 250 ragazzi e le loro famiglie, con lezioni e biblioteca per i primi e corsi di fitness e yoga per i genitori.

Questo ha migliorato il rapporto tra la scuola, genitori e studenti, e il risultato è stato una riduzione del tasso di abbandono scolastico del 14% in un solo anno. Non a caso circa tre tre anni dopo il nostro progetto sperimentale è inserito tra le best practice del MIUR contro la dispersione scolastica”.

Si tratta di un modello più diffuso all’estero e ancora poco da noi. Perché?

“Non penso sia un problema di fondi, né di iniziativa dei singoli. Piuttosto, in Italia prevale un modello sociale del tutto diverso da quello statunitense a cui noi ci ispiravamo. Le attività sportive qui sono gestite quasi sempre da società private: le scuole mettono a disposizione i propri spazi senza però avere in carico la gestione dei corsi. Negli USA invece sono gli stessi istituti scolastici a promuovere lo sport tra gli studenti. È una differenza che rende più difficile fare delle nostre scuole degli Hub a livello di plessi, proprio perché non hanno il completo controllo dei propri spazi, senza contare poi il nodo delle diverse competenze pubbliche sui vari ordini di scuola. Non è un problema insormontabile: occorre però riformare il sistema dalla base, per creare un match tra tutte quelle realtà che fanno innovazione sociale”.

 

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