L’Europa ha un proprio “European Microchips Act”, il piano per fare fronte alla carenza di questi componenti elettronici nell’industria europea aumentandone la produzione interna.
Una crisi importante, cominciata con la stagione Covid, e che ha colpito tutta l’industria continentale, con notevoli effetti e problemi per numerose industrie manifatturiere, dal settore delle auto a quello dell’Aerospazio, dall’Internet delle cose alla Difesa e ai supercomputer.
L’Europa si è scoperta dipendente dal mercato asiatico per questi dispositivi, in particolare nei confronti di Taiwan, che ha quasi il monopolio del mercato, seguito dalla sempre presente Cina; durante la pandemia, infatti, questi Paesi hanno centellinato le esportazioni di microchip sia per esigenze interne, ma anche per guadagnare terreno sui mercati concorrenti in un momento davvero molto difficile per tutti.
Per evitare che una situazione del genere possa ripetersi e limitare a livello generale la dipendenza da altri continenti, lo European Chips Act si propone di stanziare 49 miliardi di finanziamenti per raddoppiare l’attuale produzione interna di chip, con l’obiettivo di arrivare a una quota di mercato mondiale del 20% entro il 2030, a fronte dell’attuale 9%.
Il provvedimento non punta solamente a incrementare la produzione, ma desidera colmare anche il divario tra ricerca e imprese incrementando molte delle conoscenze ferme allo stato di sperimentazione, dando la priorità all’industrializzazione delle tecnologie innovative delle imprese europee.
Una somma importante, al livello dei 52 miliardi di dollari stanziati dagli Stati Uniti con il “Chips and Science Act”, che sarà indirizzata agli impianti di fabbricazione di chip e ai loro fornitori. Allo stesso tempo, l’Unione Europea lavorerà per rafforzare in maniera sensibile la collaborazione con gli Stati membri per far fronte a un’eventuale nuova crisi, monitorando l'approvvigionamento di semiconduttori e valutandone la domanda per prevederne i cali.