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    Il giurato La Vecchia: “Ecco le patologie che colpiscono gli anziani italiani”

    Premio “Lombardia è ricerca” di Regione, intervista all’epidemiologo della Statale

    di Redazione Open Innovation | 23/04/2019

Ha indagato la distribuzione geografica e nel tempo delle principali patologie in Italia e poi anche le loro possibili cause. Carlo La Vecchia, professore ordinario di Statistica Medica ed Epidemiologia all’Università degli Studi di Milano, è tra i giurati del Premio internazionale “Lombardia è ricerca”.

Insieme ad altri top scientists decreterà il vincitore dell’assegno da un milione di euro che verrà consegnato il prossimo 8 novembre, al Teatro alla Scala, a un ricercatore o a un team per una scoperta rilevante e impattante nell’ambito delle Life Science scelto per la terza edizione, quello dell’Healty Ageing.

Con diverse esperienze di lavoro all’estero, Temporary advisor all’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra, La Vecchia è autore di oltre 2.700 pubblicazioni che spaziano dall’epidemiologia dei tumori ai rischi associati, ad esempio, ad alcol, tabacco, esposizioni occupazionali o ambientali ad agenti tossici.

In Italia, dove la proporzione di popolazione over 65 è più alta, diventa vitale che gli anziani rimangano attivi e non richiedano un’assistenza continua: sarebbe insostenibile dal punto di vista sociale, oltre che economico”.

Professore, visto il focus del Premio 2019 le chiediamo: quali sono le patologie che più incidono sulla qualità della vita degli over 65 oggi in Italia?

“Sicuramente i tumori, nonostante i grandi progressi della medicina, quindi le malattie cardiovascolari e quelle neurodegenerative, dall’Alzheimer al Parkinson: sono questi i tre gruppi di patologie che aumentano in modo drammatico tra gli anziani, rispetto ai giovani. Anche se l’evoluzione temporale nel corso dei decenni è favorevole: in particolare le patologie cardiache la cui mortalità è calata di oltre il 70% negli ultimi quarant’anni, lo stesso vale per le malattie cerebrovascolari, principalmente per il controllo della pressione arteriosa e dell’ipercolesterolemia, oltre che per i migliori trattamenti. La mortalità dei tumori poi è diminuita del 25%-30%. A fare la differenza, il fatto che molti maschi hanno smesso di fumare, e che il consumo di alcol è sceso drasticamente, di oltre il 75%. Senza contare i netti miglioramenti nelle diagnosi e nelle terapie.

Per quel che riguarda le malattie neurodegenerative e in particolare l’Alzheimer, poi, in termini di tassi di età specifici il numero di casi sta diminuendo: sia perché ci sono meno danni vascolari e cerebrali grazie a un miglior controllo dell’ipertensione, sia per la diffusione di livelli culturali più alti, motivo per cui la manifestazione clinica dell’Alzheimer oggi ritarda in media di qualche anno rispetto al passato. Insomma il rischio per classi di età si abbassa, anche se in termini di numeri assoluti questa patologia sta diventando sempre più rilevante”.

Dunque quanto è attuale il tema dell’invecchiamento attivo proposto dal Premio, per una popolazione come quella italiana?

“Certo è particolarmente importante in Italia, dove la proporzione di popolazione over 65 è più alta. Il punto chiave è che con un numero così consistente di anziani - per persone vivono più a lungo grazie a migliori condizioni di vita e al progredire delle terapie - diventa vitale, sia sul piano medico sia su quello sociale, che questi rimangano attivi, che insomma non richiedano un’assistenza continua: ciò infatti sarebbe insostenibile dal punto di vista sociale, oltre che economico”.

Quali patologie preoccupano di più?

“Nonostante il notevole miglioramento di cui dicevo a livello percentuale, il numero di tumori in termini assoluti non è calato, proprio per la presenza di un maggior numero di anziani. Inoltre, i progressi a livello medico ci sono stati, ma non nella stessa misura per ogni tipo di tumore. Ci troviamo insomma di fronte a un quadro misto: se abbiamo avuto progressi spettacolari per il cancro alla mammella e importanti per i tumori linfatici come leucemie e linfomi, o per il tumore all’intestino grazie alla prevenzione tramite colonscopia, tutt’altra è la situazione per tumori come quello al pancreas o del rene, che a livello epidemiologico stanno diventando patologie rilevanti.

Per quel che riguarda invece le malattie neurodegenerative, nonostante ci sia una diminuzione di incidenza di nuovi casi per ogni classe di età e per anno, e quindi nonostante il nostro rischio di svilupparle sia diminuito rispetto alla generazione precedente, rimane un dato negativo determinante: ovvero che non ci sia nessun intervento medico che possa né prevenire né curare queste patologie”.

Qual è allora la frontiera della ricerca scientifica più urgente da esplorare, dal punto di vista della popolazione anziana?

“Difficile scegliere. Se l’Alzheimer spaventa perché non abbiamo una cura, dobbiamo anche dire che in Italia si contano ogni anno 180 mila decessi per tumore, oltre il 60% dei quali relativo a over 65: nonostante i progressi di cui dicevo, questi rimangono numeri alti.

Senza contare che nel nostro Paese ci sono probabilmente almeno un milione di anziani sopravvissuti a un tumore, la cui qualità della vita è dunque molto diversa dopo la malattia”.

“Ormai la ricchezza di un Paese è basata su quanta innovazione riesce a produrre”

Gli anziani poi devono spesso affrontare una poli cronicità, ovvero una somma di patologie magari non mortali ma spesso invalidanti…

“Sì, è un elemento tipico della condizione anziana. Certo, occorre distinguere i livelli di gravità delle diverse patologie. La più importante è il diabete, dovuto principalmente a sovrappeso e obesità. In Italia peraltro il diabete clinico ha un’incidenza minore rispetto ad altri Paesi avanzati, da noi l’aumento di peso negli ultimi decenni non è stato rilevante come ad esempio negli USA: i numeri sono molto variabili, ma diciamo che soffre di diabete circa il 7% della popolazione e dunque tra i 4 e i 5 milioni persone, in larga parte anziani. Se però sottoponessimo l’intera popolazione a un test della glicemia i diabetici risulterebbero essere molti di più: c’è stato infatti uno stato definito di pre diabete, ma già caratterizzato da un’alterazione del controllo della glicemia. Non è chiaro comunque se la loro identificazione sia utile.

Quanto alle patologie osteoarticolari, sono molto comuni e forse sottovalutate. Eppure molti anziani muoiono in seguito a fratture, specie dell’anca, o comunque riportano un’invalidità che incide in modo netto sulla loro qualità della vita. E questo si può prevenire, ad esempio continuando a fare attività fisica così da preservare il tono muscolare e mettendo in atto procedure in grado di evitare le cadute. Infine, l’altra grande causa di inattività tra gli anziani è data dalle malattie psichiatriche, in particolare dalla depressione”.

Allarghiamo lo sguardo: in che condizioni versa oggi la ricerca scientifica in Italia?

“Il dato è sempre quello: rispetto ad altri Paesi di analoga ricchezza da noi gli investimenti in ricerca sono minori e, di conseguenza, minore è il numero dei nostri ricercatori e minore la nostra produttività. Non è una novità, si tratta di una situazione cronica che però è peggiorata negli ultimi trent’anni.

La percentuale di PIL che investiamo in ricerca è oggi circa la metà di quella dei Paesi nostri competitori - Francia, Germania, Regno Unito: ciò è dovuto in parte a scarsi investimenti pubblici, in parte alla struttura produttiva italiana caratterizzata da aziende medio-piccole che investono meno delle grandi in Ricerca e Sviluppo. Resta il fatto che il nostro gap rispetto ad altre nazioni oggi si paga molto più che in passato, perché mentre decenni fa a fare la differenza era l’abbondanza di materie prime, ormai la ricchezza di un Paese è basata su quanta innovazione riesce a produrre.

L’esempio più eclatante arriva da Israele, Paese un tempo agricolo e a basso redito, e che oggi è arrivato ai vertici grazie a investimenti in R&I, e non a caso vanta un PIL pro capite di 42 mila dollari annui, ben superiore a quello italiano. Israele è il Paese al mondo che, in termini proporzionali, investe di più in Ricerca e Sviluppo”.

 

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