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    Pileri (Italtel): “Scontro USA-Cina sulle tecnologie, UE può avere ruolo straordinario”

    Intervista al CEO ed esperto di telecomunicazioni dopo lo ‘schiaffo’ di Google a Huawei

    di Redazione Open Innovation | 21/05/2019

Nello scontro in atto tra USA e Cina su alcune delle tecnologie del futuro l’Europa potrebbe ritagliarsi un grande ruolo “di bilanciamento”. È una riflessione ad ampio raggio quella di Stefano Pileri, che dopo la lunga carriera in Telecom Italia (di cui è stato Chief Technology Officer) dal 2010 è CEO di Italtel. Grande esperto del mondo delle telecomunicazioni, presidente della Fondazione Cluster Tecnologie Smart Cities & Communities della Lombardia, Pileri rilegge l’ultimo episodio della “guerra commerciale” tra Stati Uniti e Cina: la revoca annunciata da Google lunedì 20 maggio - e poi quasi subito sospesa per novanta giorni - delle proprie licenze per gli smartphone Huawei. Comunque un segnale forte, che riprende i veti dell’amministrazione Trump.

Pileri, lo ‘schiaffo’ di Google a Huawei ha fatto il giro del mondo: quello che poteva sembrare uno scontro diplomatico ora ricade sui consumatori. Ma in concreto, cosa cambierebbe per loro?

“L’eco è stata grande, ed è inevitabile considerando che Huawei detiene la seconda quota a livello mondiale nel mercato degli smartphone. Bisogna però precisare che il divieto di utilizzo del sistema operativo Android riguarderebbe solo gli smartphone con tecnologia 5G e dunque quelli di nuova generazione, e non gli attuali smartphone cinesi 4G che potranno continuare a usare i servizi a marchio Google.

Questo significa che i consumatori globali vedranno un effetto pratico del blocco tra un anno e mezzo: gli smartphone 5G si cominceranno a vendere solo allora, per capirci dopo il Mobile World Congress 2020 di Barcellona (il principale evento europeo sul mondo mobile, ndr). Le stesse reti 5G sono ancora poco sviluppate, occorrerà aspettare la seconda metà del prossimo anno. A oggi ci sono reti mobili private per una clientela business più che consumer, oppure - negli USA - reti fisse wireless (FWA) in ambito rurale e delle città più piccole dove il 5G andrà a complementare e a volte sostituire le linee tradizionali via cavo.

Detto questo, c’è poi da considerare un altro aspetto”.

 

Quale?

“È vero che Android è oggi il sistema operativo più diffuso per smartphone, ma i cinesi reagiranno. In un paio d’anni forse, e comunque in tempo per il pieno sviluppo delle reti 5G: a Huawei rimane la possibilità di utilizzare i sistemi open source di Google, credo che a partire da questi svilupperà un proprio sistema operativo. L’addio a Google Play? Non dimentichiamo che Alibaba, che possiamo definire l’Amazon cinese, ha già un proprio store: se i numeri sono rilevanti, gli sviluppatori di app si adegueranno. Quanto a Maps, è un’ottima app ma ormai grazie alla grande disponibilità di dati satellitari anche gratuiti ce ne sono moltissime altre simili, che si candidano a sostituirla. Insomma, in quello che è successo non vedo un grande problema per i consumatori. Tutt’altro discorso è riflettere su quanto sia stata ponderata  l’offensiva degli USA nella sua competizione con la Cina”.

Potrebbe insomma rivelarsi quasi un autogol?

“Di certo spingerà i cinesi ad accelerare anche su questo fronte. Quello che più mi ha colpito, in questa vicenda, è la reazione direi emotiva degli americani, in questo caso di Mountain View”.

In questo scontro internazionale, quali sono gli altri fronti aperti a livello tecnologico?

“Tre produttori americani come si sa hanno già annunciato l’interruzione delle forniture di microchip a Huawei. Anche lo sviluppo dei servizi internet verrà investito da queste dinamiche. L’atteggiamento degli USA dunque mi sembra poco lungimirante. Senza contare che ai cinesi viene rimproverata una mancanza di affidabilità, che pure gli stessi i colossi americani del web hanno dimostrato. Pensiamo al passaggio non autorizzato di dati degli utenti da Facebook a Cambridge Analytica. O alla crescita di compagnie - da Amazon a Google - su cui l’Antitrust americana non si è mai pronunciata, e contro cui l’Europa è intervenuta con sanzioni sacrosante, per quanto timide”.

“A oggi non c’è nessuna evidenza di infrazioni sulle porte di accesso non visibili degli apparecchi Huawei: siamo davanti a una guerra commerciale”

L’amministrazione Trump usa due pesi e due misure?

“Ai colossi del web americani tutto è consentito in patria. Ecco perché trovo stupefacente che il presidente USA contro Huawei chiami in causa ‘questioni di sicurezza’ e di tutela degli utenti, quando alcune imprese americane hanno agito non rispettando questa tutela, o abusato della propria posizione dominante. Spero che i talenti USA, che sono moltissimi, capiscano che questa mossa in realtà è un freno al loro sviluppo: la Rete non è nata per creare steccati digitali”.

Lei dunque non condivide l’allarme su possibili infiltrazioni illegittime negli smartphone cinesi?

“A oggi non c’è nessuna evidenza di infrazioni sulle porte di accesso non visibili - quelle cosiddette ‘logiche’, peraltro sempre presenti nei circuiti digitali - degli apparecchi Huawei: siamo davanti a una guerra commerciale, perché di questo si tratta. E allora, l’auspicio di tutti noi che operiamo nel settore non può che essere uno stop a ulteriori escalation. Allo sviluppo della rete 5G e delle nuove tecnologie servono orizzonti aperti e non chiusi”.

E l’Europa, come si colloca in questo ‘conflitto’, che segue le polemiche sulla Via della Seta?

“Ecco un altro punto dolente: il Vecchio Continente appare disgregato, senza leadership. E dire che potrebbe avere voce in capitolo: sul 5G, per dire, due aziende europee come Nokia ed Ericsson stanno facendo R&S ad alto livello e sullo sviluppo del 5G sono arrivate a un livello simile a quello di Huawei e dunque in grado di competere e di contrastare i cinesi.

La Ue potrebbe avere dunque un ruolo di bilanciamento straordinario, sia a livello tecnologico sia a livello politico. Quanto alla Via della Seta, figuriamoci se dobbiamo temere che un grande Paese venga a investire in Italia o in Europa. Purché, naturalmente, vengano date delle regole da rispettare: come quella di sviluppare in loco know-how e strutture. Abbiamo degli esempi importanti di forte attenzione a investire nel nostro Paese e mi riferisco a Cisco, l’azienda americana leader delle tecnologie di Internet, che in questi anni ha dato, e continua a dare, un contributo straordinario sulle competenze, sulla sicurezza delle reti e sulla trasformazione digitale dei principali comparti della nostra Economia”.

 

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