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    Al museo con i Chatbot

    di Benedetta Scarpelli

Negli ultimi mesi si sta intensificando nei musei italiani la presenza di chatbot come modalità di interazione e coinvolgimento dei visitatori.

Molto versatile e capace di supportare progetti orientati sia alla gamification che allo storytelling, il chatbot è in grado di offrire un servizio personalizzato a ciascun utente.

Proprio come con gli esseri umani, infatti, con i chatbot si può interagire ponendo domande e leggendo risposte in tempo reale, utilizzando applicazioni di uso quotidiano, come Messenger di Facebook, senza dover imparare ad usare strumenti diversi. La voce del museo comincia quindi a inserirsi nel flusso di informazioni del quotidiano, passando per una corsia preferenziale: quella dei rapporti diretti e personali.

L’esordio dei chatbot nei musei italiani è avvenuto nel 2016 quando il circuito delle case museo di Milano (Poldi Pezzoli, Bagatti Valsecchi, Necchi Campiglio e Boschi Di Stefano) ha sviluppato insieme a InvisibleStudio una caccia al tesoro guidata da personaggi virtuali.

Attualmente una delle applicazioni più interessanti ed evolute del panorama nazionale è quella proposta dal MAXXI – Museo delle Arti del XXI secolo di Roma, sviluppata in collaborazione con il partner tecnologico Engineering. Accendendo alla pagina Facebook del museo ed aprendo la chat, non solo è possibile avere informazioni di servizio, ma anche farsi guidare in percorsi tematici, approfondire aspetti relativi alla collezione, venire a conoscenza di iniziative ed eventi in programma.

Ma non finisce qui, perché l’applicazione del MAXXI si avvale della tecnologia del machine learning per migliorare il servizio proposto e aumentare le informazioni presenti nel database. Per questo motivo il museo ha sviluppato un piano per incentivare i visitatori ad interagire con il chatbot: più si chatta, più si accumulano monete virtuali spendibili nel museo per avere sconti sul biglietto, acquistare cataloghi o oggetti presso il bookshop. E il MAXXI lancia una sfida ai musei italiani per costruire una rete dove la Museum Coin appena nata, potrebbe diventare una valuta comune dedicata al consumo culturale.

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Ultimi 3 contributi di 3 totali

Luca Raschi

30/04/2018 alle 18:44

Ciao Benedetta, ho avuto modo di provare più di una volta questa categoria di chatbot, anche se onestamente non conoscevo quella del MAXXI (quindi non vedo l'ora di provarla). L'dea di abbinare questa tecnologia al machine learning (e forse in futuro direttamente all'Intelligenza Artificiale) è sicuramente un modo per rendere meno fredda e più personale l'interazione. Spesso il rischio è che le informazioni contenute vengano proposte in modo meccanico e forzato. A questo proposito, al di la delle tecnologie aggiuntive, chi decide di adottare il chatbot come strumento interattivo all'interno del proprio ente culturale, non dovrebbe considerarlo come una "mera" tecnologia, ma come un vero e proprio medium, capace di veicolare contenuti: di conseguenza la componente fondamentale è quella editoriale e di scrittura. Come per un libro o un film, una "trama" e dei dialoghi ben scritti sono quello che fanno la differenza anche nell'interazione tra la persona e lo strumento.

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30/04/2018 alle 13:12

Sicuramente si tratta del "futuro" e sicuramente si tratta di una tecnologia sempre più utilizzata. Però se penso ai musei penso ad una grande fetta di utenti che sono i ragazzi e le scolaresche. L'uso dello smartphone ormai lo sappiamo tutti che è totalizzante ma nello stesso tempo genitori nonni educatori insegnano e consigliano un uso "attento". Mi pongo quindi la domanda quanto sia effettivamente necessario l'uso dei chatbot in alcuni musei o comunque, immagino non possa e che non dovrebbe essere l'unico strumento per dare informazioni in modo gamificato (e quindi piacevole) agli utenti più giovani: ci sono molte metodologie di coinvolgimento che non usano la tecnologia e che portano ad un coinvolgimento con ottimi risultati

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Vanda Lombardi

30/04/2018 alle 12:10

Cara Benedetta, perdona una domanda forse banale ma inevitabile se posta da una persona della mia età: come si fa a fare in modo che l'esperienza di relazione con un chatbot non appaia fredda e, inevitabilmente, un po' "stupida" (faccio riferimento alla percezione di sè stessi in contatto con una macchina). Nel design di questi modelli e soluzioni come si prende in carico, l'elemento emotivo? Grazie

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