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Meet Me Tonight 2019
Morpurgo: “L’informatica è una scienza, la realtà si rivela computazionale”
La docente di UniMi, esperta di didattica, alla Notte dei Ricercatori
di Redazione Open Innovation | 30/08/2019
Professoressa Morpurgo, lei insegna Programmazione e Didattica dell’Informatica al Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Milano ed è alla sua quinta edizione della Notte dei Ricercatori. Qual è stato il vostro riscontro finora?
“È un’iniziativa che in generale attira moltissimo pubblico e molto vario - da famiglie a giovani che vengono in modo autonomo, ma anche molti adulti e docenti, tanto che alle 22 gli addetti sono costretti a mandare via le persone ancora presenti -, anche al nostro stand abbiamo fatto il pieno. Abbiamo sempre riscontrato un grande interesse da parte dagli insegnanti, specie di matematica, che sono alla ricerca di spunti su come introdurre lo studio dell’informatica a scuola. Qualcuno è venuto a trovarci di nuovo anche alle nostre iniziative in ateneo, perché hanno trovato le nostre proposte sia divertenti sia interessanti: è piaciuto insomma il nostro approccio per proporre lo studio dell’Informatica in modo meno tradizionale. La nostra infatti è un’idea di didattica attiva, che coinvolge i ragazzi in prima persona invitandoli a esplorare un tema informatico indagandolo in prima persona nel contesto guidato delle attività.
In breve, la Notte dei Ricercatori per noi è un’occasione preziosa di mostrare cosa è davvero l’Informatica. E cosa non lo è. A noi preme far capire che l’Informatica è una scienza a tutti gli effetti: sarebbe opportuno distinguerla da quelle che potremmo chiamare ‘competenze digitali', così spesso confuse con l’Informatica, la scienza su cui tali competenze si appoggiano”.
Cosa mostrerete dunque al vostro stand e qual è l’obiettivo che vi ponete?
“Proporremo una serie di quesiti che possono essere affrontati da chiunque, senza nessuna preparazione informatica specifica. In pratica, si accede, attraverso piattaforma, a piccoli giochi ispirati a reali problemi di natura informatica: il nostro obiettivo è promuovere lo sviluppo del pensiero computazionale e dimostrare al pubblico dello stand che quello che ha appena fatto - cioè risolvere quei problemi - è proprio Informatica. In questo modo speriamo di chiarire il fraintendimento di cui sopra su cosa sia effettivamente il cuore di questa scienza.
C’è un secondo aspetto, relativo all’orientamento degli studenti che incontriamo. Abbiamo verificato che spesso i ragazzi che si iscrivono - o non si iscrivono - a Informatica lo fanno sull’onda della confusione che c’è intorno a questa scienza. Dunque succede che arrivino da noi studenti che si rivelano poco motivati a studiare questa disciplina, mentre ne perdiamo altri che lo sarebbero, se sapessero cosa è davvero l’Informatica: invece si iscrivono a Matematica o Fisica, anche se in realtà cercano il percorso che proponiamo noi. Anche grazie alla Notte dei Ricercatori vorremmo chiarire loro le idee”.
Qual è il cuore dell’Informatica come scienza?
“Fornisce una visione del mondo che ne mette in luce la natura computazionale, natura che può essere resa in termini di zero e di uno e riproposta negli strumenti digitali: attraverso questa visione e gli strumenti sviluppati è diventato possibile analizzare fenomeni prima impossibili da studiare e fare scoperte in nuovi campi. Inoltre ciò ha reso possibile creare tutta una serie di artefatti: penso alla Realtà Virtuale piuttosto che ai videogiochi, ma si spazia in ambiti diversissimi. Ci sono ad esempio moltissime applicazioni informatiche in campo medico, economico, giuridico, artistico, sociologico, solo per citarne alcune. Ad esempio in ambito medico si va dai sistemi di diagnosi alla riabilitazione per pazienti anziani o che hanno subito traumi, fino all’assistenza alla chirurgia”.
Lei ha studiato anche le reti neurali…
“Sì, si tratta di un ambito molto promettente per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. Rispetto all’approccio tradizionale, che crea programmi da far eseguire ai computer, le reti neuronali si ispirano invece alle reti di neuroni del nostro cervello che apprendono attraverso un approccio completamente diverso, e dunque la macchina apprende da una serie di esempi che creano un’azione di rinforzo”.
Lei fa parte del gruppo di ricercatori e professori che nel 2008 ha fondato ALaDDIn (Aladdin Laboratorio di Didattica e Divulgazione dell’Informatica) , con sede alla Statale: quali attività svolge?
“Siamo una decina di docenti del Dipartimento di Informatica, con provenienze e interessi di ricerca diversi ma accomunati da una missione. Proponiamo laboratori didattici per le scuole - circa 450 studenti quest’anno, più di 2 mila negli ultimi anni -, organizziamo a livello nazionale un gioco non competitivo - il Bebras dell’Informatica, 50 mila studenti all’ultima edizione – partecipiamo a iniziative di divulgazione come questa e offriamo momenti di approfondimento e formazione, rivolti soprattutto a insegnanti che non sono della materia ma di altre discipline. Abbiamo poi studiato, con colleghi di altri atenei, un programma curricolare da introdurre nelle scuole, che abbiamo proposto al MIUR. In altri paesi europei infatti l’Informatica è materia curricolare a tutti gli effetti già dalle elementari, da noi invece si trova solo alle superiori, e in indirizzi specifici. Un peccato, se si considera la ‘fame’ di informatici da parte delle aziende: moltissimi nostri studenti cominciano a lavorare già al primo anno di università, tanta è la richiesta”.
Nella vostra esperienza, ci sono differenze di genere nell’interesse verso l’Informatica?
“Sì, molte, e sicuramente sia a livello internazionale sia in Italia c’è ancora molto lavoro da fare per riequilibrare queste differenze. Quello che osserviamo è che fino alla seconda media le differenze di genere non si avvertono proprio mentre dalla terza sì, e alle superiori in modo netto. Anche ai nostri corsi di Informatica purtroppo la presenza delle ragazze è davvero bassa, nell’ordine del 10% sul totale degli studenti, dico purtroppo perché invece il modo del lavoro informatico ha assoluto bisogno (anche) di donne”.
La Notte dei Ricercatori può essere strumento per intervenire in questo senso?
"Tutte le iniziative di divulgazione possono avere un impatto positivo, perché aiutano a smitizzare e a chiarire i pregiudizi sulle scienze. Penso ad esempio al fatto che ancora oggi a una ragazzina appassionata di scienza capita magari di sentirsi dire 'sembri quasi un maschio', c’è insomma ancora molto nel sentire comune l’idea che la scienza sia ‘affare’ da maschi. Eppure in quest’ambito lavorano moltissime donne: se si guarda ad esempio al personale del nostro Dipartimento di Informatica non c’è assolutamente sbilanciamento tra i generi, allo stand della Notte dei Ricercatori la conduzione delle attività vedrà praticamente lo stesso numero di ricercatori e ricercatrici. In generale direi che è importante avere occasioni in cui delle scienziate possano raccontare quello che fanno: già così le ragazze hanno modo di capire che ci si può ‘lanciare’ in tutta una serie di ambiti senza essere scambiate per maschiacci”.
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