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    Diolaiuti: “La tecnologia per scoprire i ghiacciai alpini, bene a rischio”

    Notte dei Ricercatori, la docente della Statale proporrà visite immersive in 3D

    di Redazione Open Innovation | 20/09/2019

Satelliti, droni, Realtà Virtuale immersiva: ecco alcuni degli ‘alleati’ dei ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, da tempo impegnati nel monitoraggio e studio di un patrimonio tanto prezioso quanto forse misconosciuto, quello dei ghiacciai.

Tra loro anche Guglielmina Diolaiuti: allieva del professor Claudio Smiraglia, primo glaciologo della Statale, da circa cinque anni Diolaiuti è Associato di Geografia fisica e Geomorfologia a Scienze e Politiche Ambientali (un nuovo Dipartimento, che la Statale ha voluto per affiancare alle competenze ambientali quelle di tipo economico e legislativo), dove guida un team dedicato.

Professoressa, di cosa si occupa dunque una “glaciologa”?

“Con il mio team studio e monitoro area, spessore, volume dei ghiacciai e la quantità di acqua che il loro scioglimento rilascia e che va ad alimentare fiumi e torrenti, oltre a impianti per la produzione di energia idroelettrica. Accanto a questo, che è il nostro ambito di ricerca principale, approfondiamo anche alcuni temi particolari.

Ad esempio studiamo le condizioni superficiali dei ghiacciai, la loro ‘colorazione’; i ghiacciai delle Alpi, infatti, sono sempre più neri per effetto di un insieme di fattori, dagli incendi boschivi alla presenza di particolato nell’aria. Poiché il bianco riflette al massimo la luce solare, mentre il nero la assorbe, è facile capire che l’alterazione del colore della superficie dei ghiacciai incide sulla velocità del loro scioglimento: il loro grigiore porta a un aumento del calore assorbito. Il nostro gruppo monitora dunque anche il loro annerimento, utilizzando immagini satellitari o foto scattate da droni: informazioni preziose per integrare e rendere più accurati i nostri modelli di fusione, fisicamente basati su temperature e caratteristiche di superficie dei ghiacciai.

E ancora, a supporto dei colleghi ecologi rileviamo la presenza di elementi inquinanti nei ghiacciai, da quelli tradizionali a quelli emergenti, con campagne di campionamento sui principali ghiacciai. Nell’estate del 2018 siamo stati i primi in Italia a scoprire la presenza di microplastiche nel Ghiacciaio dei Forni, nel Parco Nazionale dello Stelvio, insieme a colleghi dell’Università di Milano Bicocca, co autori dello studio pubblicato ad aprile di quest’anno sulla prestigiosa rivista ‘Environmental Pollution’.

Un risultato preoccupante, anche per le quantità rilevate, e un’ulteriore dimostrazione dell’impatto dell’uomo sull’ambiente circostante: la neve cattura gli inquinanti dispersi in atmosfera e li trasporta fino a terra”.

 

“Per le loro caratteristiche, i ghiacciai lombardi risultano più ‘fragili’ e vulnerabili di quelli valdostani rispetto ai cambiamenti climatici”.

 

Di che tipo di plastica si tratta?

“Quando parliamo di microplastiche non dobbiamo solo pensare ai residui di bottiglie frantumate. Per fare solo un esempio, i vestiti con tessuti sintetici contengono fibre plastiche e se non smaltiti correttamente possono disperderle nell’atmosfera. Anche per questo, allora, riciclare è fondamentale”.

Non è l’unico motivo di allarme riguardante i ghiacciai: quest’estate il nodo della possibile scomparsa di quelli alpini è arrivato anche al grande pubblico. Quanto potranno ‘resistere’?

“È così. In base ai nostri modelli, stimiamo che intorno il 2080 possa essere rimasto solo il 20% degli attuali ghiacciai alpini. Ma ci sono fattori che potrebbero incidere sulla durata della loro vita. Bisogna infatti tenere conto anche dell’erosione interna provocata dalla massa di acqua di fusione: questa scava sotto ai ghiacciai grandi e lunghe gallerie, che poi provocano crolli devastanti e che dunque ne accelerano il collasso. Inserendo anche questi dati negli attuali modelli fisici di previsione, la fine della gran parte dei ghiacciai alpini potrebbe arrivare addirittura intorno al 2060-70”.

Questo potrebbe incidere dunque sul volto stesso della Lombardia, che ospita un’ampia superficie di ghiacciai: quanto estesa, esattamente?

“Sono dati che abbiamo bene presenti visto che da tempo curiamo il Catasto dei Ghiacciai lombardi per il Geoportale di Regione Lombardia.

Si tratta di circa 200 ghiacciai su oltre 85 chilometri quadrati, dunque una superficie significativa considerando che l’estensione complessiva dei ghiacciai italiani è di circa 370 chilometri quadrati. Al di là dell’area ricoperta, per capire come e quanto in fretta evolveranno occorre però considerare anche la loro collocazione geografica. La maggior parte dei ghiacciai lombardi infatti rimane al di sotto dei 3.600 metri di quota, a differenza ad esempio di quelli della Val d’Aosta che si trovano in quantità notevole sopra i 4 mila metri.

E ancora, oltre la metà dei ghiacciai lombardi ha dimensioni ridotte, inferiori a un chilometro quadrato. Gli studi hanno mostrato che se i grandi ghiacciai (con una superficie oltre i 10 chilometri quadrati) si sono ridotti di circa il 30-35% negli ultimi 50 anni, nello stesso periodo quelli più piccoli si sono addirittura dimezzati. Con una superficie inferiore infatti i ghiacciai sono meno in grado di sopportare le ondate di calore, perché meno in grado di accumulare neve.

Questo significa tra l’altro che per le loro caratteristiche, i ghiacciai lombardi risultano più ‘fragili’ e vulnerabili di quelli valdostani rispetto ai cambiamenti climatici”.

 

“Al nostro stand grazie a visori 3D i cittadini potranno esplorare virtualmente i ghiacciai, scoprire la loro bellezza ma anche vedere gli effetti dei crolli”

 

Come si inverte questa tendenza, i ghiacciai alpini si possono salvare?

“È davvero molto difficile. Anche perché i ghiacciai hanno un tempo di latenza anche di decenni alle condizioni climatiche sperimentate: per capirci, il loro stato attuale dipende da quanto successo 20-30 anni fa mentre dobbiamo ancora vedere appieno quali saranno gli effetti dal caldo di questi ultimi anni. Lo scenario più credibile è che da qui a fine secolo le Alpi assomiglino sempre più agli Appennini….

Questo però non ci deve scoraggiare, unendo le forze si può comunque incidere sul climate change e rallentare questo processo. Anche per questo, il nostro Dipartimento mette a disposizione un tool per calcolare la propria impronta in termine di CO2 (qui il link): rispondendo in modo anonimo a una serie di semplici domande, tutti possono conoscere quanta CO2 viene prodotta dai propri comportamenti quotidiani”.

Cosa si potrà scoprire, dunque, al vostro stand alla Notte dei Ricercatori?

“Vogliano offrire ai partecipanti la straordinaria occasione di visitare il ghiacciaio dei Forni, uno dei più spettacolari d’Italia: grazie a visori in 3D e alla tecnologia della Realtà Virtuale immersiva, i cittadini potranno partecipare all’attività di ricerca che abbiamo condotto lì quest’estate, accompagnati da un robot esploratore con cui abbiamo effettuato riprese a 360°. Proprio queste riprese permetteranno ai visitatori dello stand di vivere le stesse sensazioni visive e auditive di chi è stato sul posto. In questo modo, speriamo di far percepire ai cittadini la bellezza dei ghiacciai, come sono oggi e com’erano in fasi precedenti. E insieme, la loro fragilità: proporremo infatti anche un’esperienza drammatica, facendo visionare loro gli effetti di crolli dovuti alle gallerie sotterranee di cui dicevo”.

 

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