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Storie di innovazione
La ‘guerra’ degli Smart Speaker, futura voce della IoT
di Redazione Open Innovation | 11/10/2017
Il futuro ci parla. Conversare con i nostri dispostivi sarà sempre più facile, e più diffuso. Anche grazie agli Smart Speaker, gli altoparlanti intelligenti: molto più che semplici diffusori della musica che amiamo, grazie a tecnologie in continua evoluzione si candidano a diventare nei prossimi anni veri e propri assistenti domestici, in grado di interfacciarsi anche con Tv, frigoriferi, lavatrici, forni, insomma con ogni elettrodomestico intelligente dell’era della IoT, Internet of Things.
Una nuova frontiera commerciale
A oggi, intanto, gli smart speaker – compatti e relativamente poco costosi, dunque pronti a una diffusione di massa - sono pronti a parlare con noi, grazie all’AI, Artificial Intelligence degli assistenti vocali di cui si stanno dotando. Ed è questa indubbiamente una delle nuove frontiere di sviluppo per i colossi del web. In campo per il momento ci sono soprattutto due attori, i primi a intuire le potenzialità di un settore già protagonista di una forte crescita (nel 2016, rispetto all’anno precedente, l’ascolto su Smart Speaker è salito del 282%). E destinato a fare ancora più notizia: se già oggi un possessore di Smart Speaker su tre ha collegati due o più dispositivi (secondo uno studio di Pandora, sito di streaming radio, e di Edison Research), da qui al 2024 e dunque in sette anni Global Market Insight disegna per gli Smart Speaker un mercato da 13 miliardi di dollari.
Gli “assistenti” in campo
Ecco dunque Alexa, l’assistente vocale in dotazione ai devices Amazon Echo (sul mercato già dal 2014), sistema operativo e motore di ricerca in grado di rispondere a domande, leggere le notizie di cronaca piuttosto che sul traffico o sul tempo, dare le informazioni che cerchiamo su un negozio nei paraggi come sui risultati della squadra del cuore. Dal 2016 Amazon ha come diretto concorrente Google Home, che integra il suo Google Assistant, tanto convincente da passare da una quota di mercato del 7% a fine 2016 (fonte www.voiceboit.ai), al raddoppio toccato a giugno 2017 con il 17% delle vendite di Smart Speaker. E le stime prevedono per la fine dell’anno una ulteriore crescita al 24% del colosso di Mountain View, e Amazon ancora in testa con il 71% di un mercato su cui però ora si affacciano anche altri.
Vedi Microsoft, il cui Invoke Speaker può contare sull’assistenza vocale di Cortana. Ma anche Facebook si sta muovendo, con un dispositivo che integrerà anche un display video e, forse, l’assistente M. Visto che si parla di assistenti vocali non poteva tirarsi indietro Apple: l’azienda di Cupertino ha pensato di portare la celebre Siri anche in un HomePod, uno Smart Speaker disponibile da dicembre con un processore di grande livello e molta attenzione alla qualità del suono. Anche chi finora era rimasto sul ‘classico’ quanto a diffusori audio ha deciso di puntare sugli Smart Speaker: vedi Sonos, appena uscito con un modello che integra Alexa di Amazon, in attesa di supportare anche Google Assistant.
La Iot prende voce. Ma prima cerca una lingua comune
Dunque la voce è un (il?) nuovo campo di battaglia (commerciale) dei giganti del web. Del resto, la direzione è quella tracciata dai dati di utilizzo degli Smart Speaker, un utilizzo sempre più lontano dal semplice ascolto musicale: sempre secondo uno studio targato Pandora-Edison Research, il 46% di chi si interfaccia con uno Smart Speaker chiede di conoscere le previsioni meteo, il 42% ascolta barzellette, il 40% rivolge all’assistente vocale domande generali.
Pronti a diventare una presenza fissa nelle nostre abitazioni e a farci sempre più da assistenti, gli Smart Speaker sembrano insomma lo strumento ideale per interagire con i sensori, i termostati, le videocamere, gli elettrodomestici di una casa domotica. Prima che ciò avvenga però è necessario affrontare e gestire una serie di possibili problemi.
Anzitutto, lo sviluppo degli assistenti vocali, che devono essere in grado di contestualizzare i comandi ricevuti distinguendo con certezza da chi provengano, nel caso della sovrapposizione di voci e rumori diversi in casa.
C’è poi il nodo della sicurezza del dispositivo, rispetto a intrusioni informatiche, e della privacy dei dati di cui lo Smart Speaker entra in possesso. Una volta che questo dispositivo sia in grado di controllarne altri, è facile prevedere possa diventare un bersaglio di hacker: per proteggerlo si pensa già a “chiavi” biometriche, piuttosto che a controlli in cloud delle reti su cui viaggeranno le informazioni condivise.
Prima ancora però che la IoT trovi la sua voce, si pone una questione fondamentale: riuscire a trovare un linguaggio comune tra gli oggetti intelligenti. I progettisti sono insomma a caccia di un minimo comune denominatore in grado di garantire lo scambio di dati tra apparecchi diversi, sia che questo avvenga via Wifi, via Bluetooth o tramite cloud. È nata così la Open Connectivity Foundation (OCF), che a oggi raccoglie oltre 300 compagnie interessate a sviluppare proprio questa lingua comune, a partire da “alfabeto” per arrivare a una vera “grammatica”. Tra le imprese coinvolte molti big dell’economia, digitale e non: da Microsoft a Samsung, dalla General Electric all’Intel.
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