L’emergenza sanitaria ha cambiato le abitudini di vita, di socialità e indubbiamente di lavoro. Secondo l’ultima ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, al termine dell’emergenza si stima una quota di persone che lavoreranno almeno in parte da remoto pari a ben 5,35 milioni.
Proprio lo studio dell’Osservatorio del PoliMi racconta come durante il lockdown della scorsa primavera, lo Smart working abbia coinvolto un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570 mila censiti nel 2019.
Durante il periodo di chiusura totale della prima metà dell’anno il maggior numero di Smart Worker si trovava nelle grandi imprese (2,11 milioni), 1,13 milioni invece nelle PMI, 1,5 milioni nelle microimprese sotto i dieci addetti e infine 1,85 milioni di lavoratori agili nella PA. Alle nuove modalità di lavoro, prevede la ricerca, si adatterà in futuro il 70% delle grandi imprese, incrementando le giornate di lavoro da remoto e portandole da una a 2,7 a settimana.
Si tratta di nuovo approccio al lavoro di fronte al quale le aziende devono farsi trovare pronte. Durante il lockdown dei mesi scorsi, per dire, si è evidenziata una fragilità tecnologica delle imprese italiane: il 69% di queste, ad esempio, ha dovuto aumentare la disponibilità di pc portatili e altri strumenti hardware, mentre il 38% ha dato ai lavoratori la possibilità di utilizzare i dispositivi personali. Tre quarti delle amministrazioni pubbliche, poi, hanno incoraggiato i dipendenti a usare dispositivi personali a causa delle limitazioni di spesa e dell'arretratezza tecnologia. Il 43% non ha integrato la dotazione personale dei dipendenti.
Importanti e significative anche le tematiche di livello organizzativo: è stato difficile mantenere un equilibrio fra lavoro e vita privata per il 58% delle grandi aziende e il 28% dei lavoratori, e per il 33% delle organizzazioni i manager non erano preparati a gestire il lavoro da remoto.
Nonostante le difficoltà, questo Smart working atipico ha contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi imprese e il 53% delle PA), a ripensare i processi aziendali (59% e 42%) e ad abbattere barriere e pregiudizi sul lavoro agile (65% delle grandi imprese), segnando una svolta irreversibile nell’organizzazione del lavoro. Il lavoro da remoto ha portato ad esempio a ripensare i processi aziendali (59%) e ad aumentare la consapevolezza sulla capacità di resilienza della propria organizzazione (60%).
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