Antonio Santangelo

Antonio Santangelo

Published on 23/08/2017

Published at 23/08/2017 at 17:22
Last update: 06/02/2018 at 14:19
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In alcuni interventi recenti è stato sollevato il problema dell'impatto dell'evoluzione tecnologica sulla società, e in particolare sul lavoro. Provo ad aggiungere ulteriori elementi di riflessione poiché penso che la Lombardia e il Paese si giochino il futuro nella soluzione di questi problemi.

A fronte dei dati migliori riguardo la crescita del Pil si moltiplicano riflessioni e analisi: nonostante la buona performance l’economia italiana cresce a ritmi più lenti rispetto ai partner europei, e soprattutto non riesce a recuperare i livelli di occupazione pre-crisi.

Nel dibattito internazionale si discute molto di una relativa novità della ripresa delle maggiori economie: a fronte di tassi di incremento del Pil e della produttività, non si registra una crescita adeguata dell’occupazione, e di questo si fa carico alle nuove tecnologie e all’IoT.

Il fatto non costituisce una novità, all’inizio di momenti di forte discontinuità e turbolenza dell’economia, in presenza di cicli di introduzione di nuove tecnologie, si addossa a queste la responsabilità dei fenomeni. Chi ha vissuto i primi anni ottanta si ricorda come all’IT sia stata attribuita la scomparsa di molti profili professionali (ad esempio nelle attività tipografiche). 

E’ però difficile negare che siano in corso processi di polarizzazione nel campo del lavoro: da un lato si assiste all’esplosione di servizi legati alla cura della persona (cui corrispondono livelli di basso reddito), dall’altro vengono valorizzati servizi ad alto contenuto tecnologico cui corrispondono crescenti livelli di reddito.  In compenso si riducono i margini per lavori e redditi intermedi, più facilmente automatizzabili o sostituibili da servizi importati. Una recente ricerca di EuroFound ha dimostrato che gran parte dei nuovi posti di lavoro creati negli anni del dopo crisi sono a basso reddito. Vengono quindi attribuite alle nuove tecnologie le responsabilità della scarsa crescita e della perdita di posti di lavoro.  

Gli Usa sono lì a dimostrare la limitatezza di questa tesi: sono il Paese leader nell’utilizzo delle nuove tecnologie e hanno livelli di occupazione superiori a molti competitor occidentali.
Soprattutto per l’Italia le ragioni vanno ricercate altrove, mi pare.

Se guardiamo alla diffusione e all’utilizzo delle tecnologie innovative il nostro Paese registra un forte ritardo rispetto ai partner europei. La penetrazione del digitale delle nostre imprese è ridotta e aggravata dalla scarsa presenza di lavoratori della conoscenza soprattutto nelle imprese di minor dimensione. Si pone allora la necessità di forti interventi nel campo della formazione e dell’aggiornamento professionale, e più in generale è urgente porre mano a policy che assumano il governo della trasformazione e dei processi in atto.

Industria 4.0 è una prima risposta in questo senso, e i dati legati alla risposta delle imprese sono confortanti. Ma occorre proseguire e allargare l’iniziativa alla creazione delle competenze necessarie ad affrontare la trasformazione in atto, che ha ritmi molto più accelerati del loro adeguamento. Risulta allora anacronistico che i sistemi informativi relativi al lavoro integrato siano parcellizzati e raccolti a livello regionale, senza interscambio di dati e informazioni; ciò si traduce poi in servizi al cittadino estremamente differenziati.
Senza queste iniziative di riforma, e un forte impulso alla spinta al digitale nell’intero contesto sociale occupazione e produttività sono destinati a restare di basso livello  

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