Sebastiano Bagnara

Sebastiano Bagnara

Published on 31/10/2017

Published at 31/10/2017 at 15:08
Last update: 15/02/2018 at 18:37
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Un paio di anni fa ho affrontato, in una conversazione con Marco Sbardella, temi della psicologia cognitiva, del design e del loro rapporto con le nuove tecnologie, in occasione di una conferenza a Firenze di Don Norman. Riporto qui alcuni passaggi di quella chiacchierata.

“In questo cambio di focalizzazione, è cruciale il concetto di “affordance”. Il concetto di “affordance” è stato sviluppato da Gibson negli anni ’50, e significa che noi non percepiamo gli oggetti in sé, come sono, come pure forme, ma anche per come ci servono, per quali azioni possiamo fare con essi. Guardando un oggetto, “vediamo” subito a cosa serve, se possiamo usarlo e come.

Percezione e azione sono comprese in un unico atto. Questo è un cambiamento formidabile nella psicologia cognitiva, perché lo sviluppo del cognitivismo aveva spezzato il legame tra percezione e azione visti come fasi e processi cognitivi diversi.

La percezione era vista come intake, presa di informazione che poi doveva essere elaborata e in uno stadio successivo tradotta in azione. Il concetto di “affordance”, invece, unisce strettamente percezione e azione. Kahneman, nel suo ultimo libro “Pensieri lenti e veloci”, mostra che noi non sempre seguiamo necessariamente le fasi di intake- informazione-elaborazione- azione): spesso accade che passiamo direttamente e velocemente dalla percezione all’azione. Questo concetto permette di superare, nella gran parte dei casi, le fasi di elaborazione previste dal cognitivismo: siamo veloci, quando l’oggetto è usabile, diremmo “è intuitivo”.

Anni fa si parlava d’immaterialità: sembrava che tutto dovesse diventare virtuale, immateriale. Invece negli ultimi anni si è scoperto che molte delle conoscenze non sono immateriali, ma sono negli oggetti. Da un po’ di tempo, si parla infatti di cognizione distribuita. Ad esempio, la città ci guida, ci dice dove andare. Quando siamo in un palazzo o in un albergo spesso non dobbiamo chiedere dove andare, basta guardare. Se vai in chiesa, sai benissimo che non puoi metterti ad urlare. I posti ti dicono cosa fare. Ricordo sempre un caso bellissimo di cognizione distribuita descritto da Chatwin in Le vie dei canti: parla dei canti che gli aborigeni australiani usano per attraversare il deserto. Questi canti erano delle vere e proprie mappe del territorio: cantando arrivavano, ad esempio, a un punto in cui il canto parlava di una roccia con una forma particolare ed erano esattamente in prossimità di quella roccia. E il canto e la roccia indicavano come proseguire. C’è un’integrazione tra mentale ed esterno che potenzia enormemente il nostro pensiero. Queste conoscenze sono profondamente connesse con il materiale, i corpi, gli oggetti".

C’è poi un’altra parte di conoscenza che è la conoscenza del corpo: quando c’erano gli altiforni c’era l’uomo dalla “pelle cotta”. Questi era uno che stava fuori a petto nudo e in base al calore che emanava l’altiforno sapeva quando era il momento di versare l’acciaio e quando invece aspettare. Senza guardare nessun indicatore, il corpo gli diceva quando era il momento giusto.
Alcune conoscenze sono poi nel stanno solamente nella testa ma sono in tutto il corpo. L’altro esempio che viene fatto spesso è quello dei ballerini che prima fanno e poi imparano. Non tanto nei movimenti singoli quanto nel coordinamento tra due o più ballerini, guardano quello che hanno fatto e osservando imparano.

Il design deve rendere le tecnologie capaci di interagire anche con queste conoscenze “materiali”.

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