Angela Di Massa

Angela Di Massa

Published on 09/11/2017

Published at 09/11/2017 at 17:25
Last update: 08/12/2017 at 18:45
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Mercoledì 8 novembre e giovedì 9 novembre 2017 Milano ospita per la seconda volta il World Usability Day (W.U.D.), giornata mondiale sull’usabilità nei prodotti digitali. Il tema di quest’anno è “Inclusion through User Experience”, da cui il titolo dell’iniziativa “WUD Milan Senza Barriere”, che pone al centro della riflessione il ruolo della ricerca e delle tecnologie di informazione nello sviluppo di soluzioni innovative inclusive. Proprio nel pomeriggio di ieri ho avuto modo di ascoltare due interventi molto interessanti di cui vorrei condividere alcune riflessioni e domande.

“Progettare per il meglio di noi” è il titolo del talk condotto a più voci da Oronzo Parlangeli, professore associato all’Università di Siena esperto di psicologia cognitiva e Alessandro Pollini, interaction designer esperto di ergonomia cognitiva e human factors.

Un percorso che parte dalle origini della cognizione umana, cioè da quando l’uomo acquista la consapevolezza di se stesso: “il pensiero diventa oggetto del pensiero” (Tomasello). Con questa cognizione, emerge anche la nostra capacità di progettare gli artefatti necessari a supportare i nostri processi di pensiero. La “disabilità” umana consiste quindi ad esempio nel non riuscire a memorizzare tutte le informazioni del mondo circostante, ragion per cui l’uomo cerca di superare questo limite mediante la progettazione e costruzione di strumenti a lui utili (uno dei primi esempi della storia umana risale al calendario usato per fissare le stagioni di caccia). Inclusione oggi è inclusione di noi stessi come persone che, insieme a tecnologie, reti, gruppi, entriamo in uno scenario ad elevata complessità e partecipare ad un’esperienza evolutiva riflessiva globale.

“La vita digitale dei cittadini vulnerabili” è invece il titolo dell’intervento di Stefana Broadbent, co-fondatrice di Cleanweb e docente di Antropologia Digitale presso l'Università di Londra. Una sintesi di ricerche che indagano l’esperienza e l’utilizzo dei servizi e prodotti digitali di diverse categorie di utenti vulnerabili. Molte e diverse sono le necessità. Le lavoratrici cinesi che lasciano la loro città natale per andare a lavorare in nuovi contesti urbani desolati e poco accoglienti hanno ad esempio affermato che “la vita fuori dal telefono fa schifo”. Il digitale diventa quindi un luogo che consente di scappare dall’ambiente quotidiano. Per gli homeless si tratta piuttosto di luogo che offre la possibilità di acquisire un controllo sulle proprie intenzioni, interessi, tempi. Il ruolo del design è di incoraggiare ed agevolare l’empowerment degli utenti stessi.

In che modo affrontate il concetto dell’inclusività nella vostra realtà? Che esperienze possiamo condividere e trattare insieme?

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