La città galleggiante è un progetto reale e non è affatto folle come sembra
Luigi Rosati
Published on 04/12/2017
Last update: 27/12/2017 at 14:15
Partiamo come al solito dalla notizia: nel 2020 dovrebbe prendere forma il progetto di una città galleggiante, autonoma e indipendente, al largo della Polinesia francese. L’iniziativa è gestita da una società privata, “The Seasteading Institute” che sta raccogliendo dal 2008, investitori e clienti per la sua “floating city”.
L’iniziativa non è una boutade ma un progetto che ha già avuto il necessario sostegno della Polinesia francese e vanta un parterre di finanziatori importante, tra cui emerge Peter Thiel, il fondatore di Paypal.
Ma perché questa, ennesima, “innovazione estrema” assume interesse anche per noi? Il primo tema è quello del cambiamento climatico: la floating city nasce non a caso in Polinesia, una delle terre emerse maggiormente minacciate dall’innalzamento del livello degli oceani. Se il ritmo con cui cresce il riscaldamento globale, si mantiene tale (ovvero esponenziale più che lineare), allora diviene importante - economicamente e socialmente - la questione degli spazi e della creazione di nuovi luoghi in cui investire.
Ma la città galleggiante, come sottolineato dai suoi progettisti e fondatori, rappresenta anche la realizzazione fisica di un modello di comunità che sta prendendo sempre maggior piede nella Rete. Un modello di comunità sganciato da logiche tradizionali, legate ai concetti di stato o nazione, come da modelli di governo e controllo che sembrano indebolirsi di fronte a macrosistemi che si stanno sviluppando nella Rete globalizzata e ultra-connessa.
Quindi, se la democrazia si interroga sulla sua attualità di fronte alla partecipazione digitale, se la finanza deve confrontarsi con la blockchain, se presenza fisica e virtuale diventano concetti indefiniti… allora anche la cittadinanza trova altre collocazioni che potrebbero evolversi in microcomunità autonome e indipendenti, come quella prospettata dalla floating city.
Non solo smart city, quindi, ma digital community, in cui virtualità e fisicità cercano di trovare una mediazione formale e sostanziale.