Vanda Lombardi

Vanda Lombardi

Published on 18/12/2017

Published at 18/12/2017 at 13:27
Last update: 31/07/2018 at 10:10
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L’intelligenza artificiale, nelle applicazioni per il business e nell’industria, sta vivendo già una nuova fase; meno entusiasmo e più pragmatismo, potremmo riassumere. E’ quello che si evince da un recente articolo di Guido Romeo che analizza come ad una prima fase di enfasi sull’AI ne stia seguendo un’altra, maggiormente pragmatica e applicativa. In particolare gli investimenti si orientano sui big data per la cui gestione vengono sviluppati sistemi di accesso e utilizzo in grado di poterli gestire, basati sull’intelligenza artificiale, appunto.

Facciamo riferimento a bot e altri sistemi analoghi, in grado di poter utilizzare l’enorme mole di dati a disposizione e la nuova capacità di archiviazione e computazione della stessa. L’AI, quindi, svolge un ruolo di mediazione tra le richieste dell’utente/operatore e le informazioni a disposizione, operando scelte e decisioni necessarie per rendere i dati utili e fruibili.

Romeo, citando Miragliotta del Politecnico di Milano, parla di “AI come nuova automazione” facendo riferimento ad una serie di applicazioni che puntano a “innalzare in maniera permanente il livello dei servizi di un business”. Tale innovazione coinvolge anche la pubblica amministrazione; a tal proposito l’AGID sta per pubblicare un documento di analisi sul tema evidenziano le applicazioni per i cittadini e gli enti in questo ambito, nate dal connubio tra big data e AI.

Tuttavia questa strada richiede un’evoluzione matura verso la digital transformation e investimenti pesanti su questo fronte; in tale scenario è ovvio che le big companies del settore hanno un ruolo importante. Romeo giustamente sottolinea come la supremazia dei colossi USA rischi di creare dei fenomeni di dipendenza tecnologica a cui sono chiamati a rispondere le industrie europee, con investimenti e soluzioni adeguate.

Lo scenario tratteggiato riporta anche ad un problema di competenze, cui fa eco l’articolo di Maria Teresa Della Mura sulla professione del Data Scientist. Perchè la questione dei big data non può essere risolta solo con le applicazioni di AI ma deve anche essere gestita da chi è in grado di sviluppare modelli e disegni adeguati, nell’ambito dei quali poi costruire soluzioni ad hoc.

Non a caso la figura del data scientist rimane a cavallo tra tecnologia e business, del resto si parla di data driven economy e - aggiungerei - di data driven organisation.

Ma chi è un data scientist? E’ una figura nuova e complessa, le sue competenze comprendono ingegneria del software, statistica, machine learning, algebra, analisi multivariata, data munging, data visualization, data communication. Ma bisogna aggiungere anche creatività, problem solving, immaginazione e team working.

Anche la formazione sul tema comprende percorsi diversi, che includono percorsi universitari “tradizionali”, corsi a distanza, bootcamp e workshop specifici.

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