L’elefante dell’informazione versus l’umanità topolino
Sebastiano Bagnara
Published on 21/12/2017
Last update: 12/01/2018 at 14:29
“Se non vuoi un uomo infelice per motivi politici, non presentargli mai i due aspetti di un problema, o lo tormenterai; dagliene uno solo, o, meglio ancora, non proporgliene nessuno. [...] Offri al popolo gare che possano essere vinte ricordando le parole di canzoni molto popolari, od il nome delle capitali dei vari stati dell'Unione, o la quantità di grano che lo Iowa ha prodotto l'anno passato. Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere da tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente ben informati”. Dopodiché avranno la certezza di pensare la sensazione del movimento, quando in realtà sono fermi come macigni.” (Ray Bradbury “Fahrenheit 451”, 1953)
Il tema dell’informazione, delle fake news e della comunicazione social è oggetto di molti dibattiti e analisi, in questo periodo. Su questo argomento ho piacere di riprendere e condividere alcuni passaggi di un mio articolo pubblicato da “Le Lettere” qualche tempo fa.
Ormai siamo nella società dell'informazione e si vede.
La differenza fra offerta di informazione (che si moltiplica) e capacità umana di elaborazione (che rimane pressoché costante) è già notevole, impressionante. Questa differenza sta producendo un fenomeno del tutto nuovo: il prevalere del quotidiano, la perdita del passato sia a livello individuale sia collettivo. Vediamo un po’ perché.
Finora, si pensava che l’eccesso di informazione venisse “filtrato”: l’informazione che non interessa passa inosservata, viene buttata via. Questa spiegazione sostanzialmente corrispondeva alla realtà, fino a qualche tempo fa. Ma vale anche adesso, se si ha una forte personalità, una solida struttura di interessi, di scopi e di valori stabili, si filtra ed elimina la sovrabbondanza di informazione. Sappiamo però che per costruire un filtro occorrono tempo, tanto tempo, riflessione e maturazione.
I bambini, ma anche gli adolescenti, ad esempio, non hanno ancora il tempo sufficiente per costruirsi un filtro cognitivo intelligente forte e personale e, difatti, si distraggono facilmente. Sono guidati dall’intensità delle informazioni alle quali sono esposti, piuttosto che da un loro interesse. Sono sopraffatti da informazioni magari assolutamente inutili, se attraenti e stimolanti. Assorbono l’informazione a cui sono esposti, piuttosto che cercare quella che li può interessare.
La costruzione di filtro, di un punto di vista personale, basato su interessi precisi e personali, per la selezione della realtà richiede prolungata esperienza e riflessione sulle proprie esperienze. Coincide con il processo di maturazione. Nella società dell’informazione, però, l’offerta continua e prepotente di informazione interrompe continuamente il processo di riflessione. Il flusso continuo e il sovraccarico di informazione, la continua interruzione minano la riflessione e, con essa, il processo di maturazione, lo sviluppo di interessi stabili, e portano alla costruzione di filtri deboli e inefficaci. Contribuiscono alla costruzione di personalità cognitivamente deboli, molto influenzabili.
Si afferma che la pubblicità fa male perché interrompe un’emozione. In realtà, la sovraesposizione all’informazione fa di più. Rendendo difficile la riflessione e quindi la costruzione di un filtro intelligente e personale, producono persone dipendenti dall’ambiente informativo: persone, per le quali è più difficile, se non impossibile, costruirsi un punto di vista stabile. Sono guidate dal grado di attrattività del presente e della stimolazione esterna piuttosto che dalla memoria e dagli interessi e valori personali. Il loro punto di vista è erratico: di qui il senso di confusione che molti individui provano nella società dell’informazione.
L’effetto confusione è però dovuto anche al numero straordinariamente alto di interazioni che abbiamo quotidianamente con le tecnologie. Le tecnologie cambiano continuamente: il loro tasso di obsolescenza è rapidissimo.
C’è un’offerta continua di novità. Siamo, di fatto, costretti a un processo di apprendimento continuo e feroce. Dobbiamo imparare quotidianamente nuovi modi di interazione: ciò che abbiamo imparato ieri non servirà e andrà buttato via domani. Nella società dell’informazione le modalità di interazione non si solidificano, non si accumulano, vanno giorno dopo giorno aggiornate e spesso radicalmente modificate.
Appare evidente (e alle volte lo percepiamo già in modo drammatico) che il ricordo si presenta spesso come un peso dal quale liberarsi. Nel rapporto con le mutevoli tecnologie, il ricordo è spesso un reale fardello, un peso fastidioso e inutile. Abbiamo la sensazione che sarebbe meglio “ripulire” la nostra memoria. Questa sensazione assumerà le dimensioni della necessità nel prossimo futuro.
L’evoluzione rapida delle tecnologie ci mette già di fronte a un’esperienza nuova e forse unica nella storia anche recente dell’Uomo: competenze e abilità accumulate con fatica nel tempo si rivelano inutili. Il quotidiano dell’interazione con le tecnologie impone di cancellare parte della nostra esperienza.
L’esperienza del ricordo come peso fastidioso non rimane incapsulata all’interazione con le tecnologie, ma, data la loro pervasività nell’esperienza quotidiana di lavoro, di intrattenimento e di relazione, il “bisogno di dimenticare” influenza in modo complessivo non solo l’organizzazione e la gestione del nostro quotidiano, ma, piano piano, anche il nostro modo di fare e accumulare esperienza, la nostra considerazione della memoria, la nostra concezione della storia.
La mutevolezza del quotidiano cancella man mano gli indici che ci permettono di ricordare il passato. E il ricordo svanisce se non viene richiamato. Così, il processo di cancellazione dei ricordi diventa ineluttabile. Il quotidiano si impone sul passato.
È una situazione paradossale: abbiamo bisogno di dimenticare per interagire senza interferenze, in modo efficace con un mondo fatto di tecnologie, dell’informazione, che cambiano continuamente. Ma proprio questo processo di apprendimento e adattamento continuo contribuisce a eliminare progressivamente i ricordi perché non si trovano più riscontri nella quotidianità. La memoria viene ridotta al quotidiano.
La progressiva scomparsa della memoria si accompagna con un altro fenomeno che può essere definito la dittatura del dettaglio.
La rete registra tutto. Ma proprio perché registra tutto, non invita, non stimola a ricordare: anzi, proprio il fatto che qualsiasi episodio che avviene in rete può sempre essere recuperato, autorizza e legittima la pigrizia mentale. Come le fotocopie liberavano dal senso di colpa per non aver studiato (“Tanto ho già fatto le fotocopie”) generazioni di studenti del secolo scorso, così la rete dà alibi per il nostro perdersi nel quotidiano.
Le esperienze fatte in rete non sedimentano nelle persone, ma neanche nelle comunità. Infatti, se guardiamo alla storia delle comunità in rete, dobbiamo prendere atto che pochissime rimangono veramente attive per più di tre anni. Certo, alcune sopravvivono: ma mostrano un inevitabile e un po’ triste appannamento. Durano fino a che vivono gli irriducibili, spesso neanche i fondatori. Le comunità virtuali sono fragili e resistono per poco tempo.
Le persone si scambiano emozioni e informazioni in rete, ma queste non si accumulano e non servono a mantenere i sistemi relazionali e sociali. Si potrebbe dire, paradossalmente, che le comunità in rete non “prendono corpo”. La società dell’informazione sembra caratterizzarsi come sistema che privilegia le comunicazioni di “dettaglio” a uso rapido, che non si traducono in esperienza riflessiva.
L’eccesso di transazioni comunicative le rende tutte uguali. Certo, si ricordano anche dettagli, ma si ricordano meglio dentro frame, sistemi di riferimento che ne stabiliscono il senso. Le transazioni continue, l’eccesso informativo impediscono proprio la costruzione di frame, di strutture che costruiscono e stabiliscono il significato dei dettagli. Impediscono, di fatto, il ricordo.
Ma i dettagli possono regolare e quasi imporre il futuro prossimo.
La società dell’informazione è minuziosa nell’indicare che cosa fare subito, ma non dice molto, anzi è nemica del futuro a medio e lungo termine, e tende ad annullare il futuro come il passato e il ricordo riflessivo annegandoli in un oceano di dettagli.
È evidente che dietro il bisogno, la necessità di dimenticare, il prevalere del quotidiano, la dittatura del dettaglio, si cela un aspetto sociale oltre che personale delicato e profondo.
Nel secolo scorso, le grandi aggregazioni sociali, sindacali e politiche, si costituivano in base a comuni condizioni materiali: certo, contava l’ideologia, ma questa si richiamava ed enfatizzava proprio le comuni condizioni materiali. Nella società dell’informazione si smarrisce questo legame materiale, che viene vissuto come servizio temporaneo piuttosto che come elemento indispensabile per la produzione di novità. Le aggregazioni si stabiliscono attorno a immagini, mutevoli, non a condizioni stabili, comuni. Le immagini sono scelte per produrre emozioni da provare immediatamente, piuttosto che riflessioni su esperienze significative.