Intelligenza artificiale nel recruiting: l’automazione nell’HRM
Elga Apostoli
Published on 16/05/2018
Last update: 28/01/2019 at 16:00
Lo dico subito: la reazione che ho avuto leggendo l’articolo sull’uso dell’intelligenza artificiale nelle direzioni del personale è stata di istintiva paura e biasimo. In particolare si fa riferimento all’uso di algoritmi per il recruiting: sistemi che sono in grado di scemare video di presentazione dei candidati e fare screening che riducono i tempi di otto volte. Dispositivi che analizzano 250 mila CV in 20 minuti. Direzioni del personale che per il 60% utilizzano soluzioni digitalizzate e automatizzate per il recruiting e la selezione del personale.
La mia prima opposizione è ovvia: tali sistemi, per quanto efficaci e sofisticati, quanto possono cogliere della complessità umana che interviene in un colloquio interpersonale? Ed anche nella lettura di un CV, di una lettera di presentazione o nella visione di un video, non c’è una qualità diversa nella valutazione fatta da una persona rispetto ad una macchina?
Ma vorrei proporre anche un altro elemento: nella pratica professionale nell’HRM ci sono ovviamente ruoli e consuetudini. Una di queste è quella di organizzare e gestire alcuni processi attraverso la formazione di profili e professionalità interne; si lavora al recruiting anche per alimentarsi della varietà e della complessità che l’incontro con centinaia di persone può restituirti. Non a caso in certi ambiti si introducono e si formano risorse junior proprio perché acquiscano quel bagaglio su cui basare la loro professionalità futura. Mi chiedo allora cosa accadrà quando salteremo tutto questo perché gestito da un sistema di AI e incontreremo solo quel piccolo campione che la macchina ha deciso di farci incontrare; cosa ne sarà della nostra futura professionalità se si proverà della relazione con tutte le altre persone che, seppur non coerenti con le nostre chiavi di ricerca, portano con sé tutta la ricchezza che ogni uomo e donna recano con sé.