Un sostegno per la “caccia” alla molecola killer del virus dell’epatite B. Ma anche una chance preziosa per decine di giovani ricercatori, magari desiderosi di ritornare in Italia dopo un percorso di studi all’estero. Questo rappresenta l’Accordo per la ricerca sottoscritto da Regione Lombardia e da alcuni centri d’eccellenza, capitanati dall’impresa Promidis, che ha come obiettivo la scoperta di una cura definitiva per l’epatite B cronica. Lo racconta la professoressa Emanuela Licandro, ordinario di chimica organica all’Università degli Studi di Milano, ateneo di cui coordina il gruppo all’interno del progetto «CURB» per l’individuazione (e l’eventuale brevettazione) di una cura efficace contro il virus HBV. Si tratta di uno dei 32 progetti finanziati (per un totale di 106 milioni da fondi Por Fesr 2014-2020) dagli Accordi previsti dalla legge regionale 29 «Lombardia è ricerca», istituita a fine 2016 su iniziativa di Luca Del Gobbo, assessore all’Università, Ricerca e Open Innovation.
Licandro lavora da anni alla progettazione e sintesi di molecole adatte a diventare farmaci intelligenti, ovvero a colpire con precisione solo determinati geni, legati a una patologia, lasciando intatte le cellule sane. Per individuare la molecole in grado di fermare la replicazione del virus dell’epatite B sarà affiancata da due giovani ricercatrici, una dottoranda e – ancora da individuare – nei 30 mesi di durata del progetto anche da sei assegnisti.
«Il finanziamento al progetto è in effetti peculiare – spiega dunque la docente universitaria –: viene erogato da un ente pubblico, ma con meno burocrazia rispetto all’iter necessario ad esempio per ottenere dei fondi europei. Grazie ai 400 mila euro che ci arriveranno da Regione Lombardia, come Università degli Studi potremo portare avanti la parte del progetto di nostra competenza, assumendo anche sei giovani scienziati con assegni di ricerca».
Il bando dell’Università degli Studi di Milano per il reclutamento dei primi due ricercatori sarà pronto a settembre, gli altri posti saranno banditi nel 2018. Diversi possibili candidati hanno già manifestato il loro interesse per i primi due posti. Tra loro c’è chi ha conseguito un dottorato a Londra e chi in Danimarca, con stage in centri di ricerca prestigiosi negli Stati Uniti. Trentenni che nonostante i riconoscimenti ottenuti in atenei europei o americani vorrebbero tornare in Italia, per continuare qui la propria esperienza professionale.
UniMi destinerà 210 mila euro ai sei assegni di ricerca. Con la speranza che, appunto, possano contribuire al rientro di qualche “cervello” a oggi espatriato: «Credo nei giovani talenti – osserva la professoressa Licandro –: invece di prepararli per poi vederli crescere in centri esteri, sarebbe bello se fossero degli atenei italiani ad avvalersi delle competenze che questi ricercatori hanno acquisito oltre confine». Il progetto CURB rappresenta dunque una sfida anche su questo fronte, tutt’altro che secondario se si pensa alle difficoltà incontrate dai giovani ricercatori in Italia: dare loro «spazi e soprattutto fondi», anche se a tempo determinato, nonché offrire loro la possibilità di mostrare il proprio valore è indispensabile per una regione (e prima ancora per un Paese) che voglia dirsi capaci di innovazione.
L’accordo per il progetto CURB è stato firmato l’11 luglio dal presidente di Promidis, capofila dei cinque soggetti coinvolti e dall’assessore Luca Del Gobbo: Regione Lombardia ha messo sul piatto 3,3 milioni di euro (a valere su fondi Por Fesr 2014-2020), per coprire gran parte dei costi di tre anni di ricerca, in tutto 5,6 milioni. Promidis ha fatto fronte comune con realtà scientifiche di primo piano come Istituto nazionale di genetica molecolare, Università degli Studi di Milano, Policlinico San Matteo di Pavia e Ospedale San Raffaele di Milano: obiettivo, appunto, individuare a livello preclinico molecole in grado di bloccare la replicazione del virus HBV, causa dell’epatite B.
Questa forma di epatite diventa cronica nel 5% degli adulti contagiati dal virus, e in oltre il 50% dei bambini al di sotto dei 5 anni. Su scala mondiale sono 300 milioni le persone affette da questa patologia, di cui un milione muore ogni anno. La ricerca di una cura per l’epatite B cronica è quindi prioritaria, per il numero dei soggetti coinvolti e perché – ha ricordato Del Gobbo – «i vaccini esistenti oggi sono in grado di prevenire, ma non di eliminare per sempre quest’infezione cronica del fegato. I malati devono assumere farmaci per tutta la vita, con costi elevatissimi per il sistema sanitario e senza la certezza di ridurre il rischio dell’insorgere di un cancro al fegato. Dal 2009 al 2015 la spesa sanitaria per la cura dell’Epatite B cronica, in Lombardia, è raddoppiata passando da 12 a 24 milioni di euro».