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Approfondimenti

27/02/2020

Coronavirus, Galli: “Centrali reparti di malattie infettive e attenzione dei sanitari”

Redazione Open Innovation

Il professor Massimo Galli è Direttore della Struttura Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano e Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco” dell’Università degli Studi di Milano.

L’AO Sacco è centro di riferimento per le emergenze infettivologiche, tra cui il nuovo Coronavirus dopo esserlo già stato per la SARS.

Professore, si contano nuovi contagiati in diverse regioni: come valutare la situazione?
“In Sicilia come in Liguria e in Piemonte, si tratterebbe di persone a contatto col focolaio centrale. Quanto all’imprenditore di Firenze di ritorno dall’Oriente, la rapida individuazione del caso ritengo possa aver limitato i danni. Non è chiaro se il focolaio in Veneto è satellite al lombardo o indipendente. Ovviamente, più focolai indipendenti si verificano, più problemi di contenimento si debbono risolvere. Nel Lodigiano il Coronavirus è arrivato tramite qualcuno che poi l’ha diffuso o perché non si è reso conto di essere ammalato o perché non ha dato peso a sintomi lievi. E l’ha fatto ben prima ben prima che venisse scoperto il paziente 1”.

In questo quadro, qual è l’elemento determinante per azzardare previsioni sull’andamento dell’epidemia?
“La capacità di risposta, che ritengo valida. E Il fatto che il nostro Paese abbia, a differenza di altri, una valida rete di reparti specializzati nella cura delle malattie infettive: è bene ricordarlo, vista la tendenza degli ultimi anni a diminuirne il numero, piuttosto che ad ampliare la rete. Senza questi presidi saremmo assai meno in grado di fronteggiare un’emergenza come questa. C’è da sperare che chi ha pensato di disinvestire in questo settore ne tragga una lezione. Buttare gli ombrelli quando c’è il sole, sperando che non piova più, non è mai una grande idea. Se qualcuno dubitava che le emergenze di questo tipo fossero plausibili, eccolo servito. Ora sappiamo di avere il nemico in casa e ci stiamo comportando di conseguenza: i colleghi stanno trattando con la massima attenzione e cautela tutto quanto sia anche lontanamente sospetto, anche al di là delle definizioni. Questo contribuirà al contenimento dell’epidemia. Ci sono poi alcuni altri elementi da considerare”.

Quali?
“In Lombardia è in corso un’indagine epidemiologica approfondita, che procede dai casi noti verso i loro contatti. In questi giorni stiamo facendo la conta delle infezioni già avvenute nelle scorse settimane. La gran parte delle persone risultate positive si sono infettate quindi parecchi giorni fa e in maggioranza stanno bene e sono destinate a guarire senza complicazioni. Sta emergendo nella cosiddetta zona rossa quanto si era diffuso prima che venissero riconosciuti i primi malati gravi. Titoli come ‘il numero delle infezioni continua ad aumentare’ non descrivono la situazione: in realtà si sta definendo la dimensione di un focolaio che si è già venuto a determinare, mentre l’identificazione dei già colpiti e le iniziative di contenimento limitano la possibilità di nuovi contagi”.

Il territorio si è scoperto spaventato, abbiamo visto reazioni in parte di panico…
“Quando ho visto le immagini dei banconi vuoti dei supermercati ho provato un po’ di vergogna. Sono manifestazioni di irrazionalità, autoreferenzialità e di sfiducia che non aiutano nessuno”.

C’è un problema di sfiducia dei cittadini nella scienza, come quella che aveva alimentato i no Vax? Le indicazioni delle autorità sanitarie sulle mascherine, per dire, non sono state ascoltate…
“Chissà se i no Vax avrebbero oggi la coerenza di rifiutare anche un vaccino contro il coronavirus! Comunque mi sembra che chi pensa ‘mi tutelo da solo’ nutra sfiducia più nei confronti dei decisori politici in generale che nelle istituzioni sanitarie e nella scienza”.

Intanto cresce la speranza in un vaccino: martedì una società USA ne ha annunciato uno, starebbe per entrare nella fase 1 di sperimentazione su un gruppo ristretto di pazienti: quanto è credibile?
“Mi auguro con tutto il cuore che la pressione intorno al SARS2-Cov-19 acceleri davvero lo sviluppo di un vaccino. Ma devo pur ricordare che la ricerca su quello per la MERS, seppure sostenuta dalle ingenti risorse dell’Arabia Saudita, è solo ai primi vagiti sperimentali. E che ancora aspettiamo il vaccino contro AIDS ed epatite C. Restiamo allora ai fatti: non è impossibile che il vaccino arrivi in tempi più rapidi del normale, ma davvero non si possono fare previsioni precise su quando arriverà”.

Il punto rimane: siamo attrezzati per questa sfida?
“Sulle infezioni cosiddette emergenti, come questa, nessun sistema sanitario potrà mai essere completamente preparato. Un editoriale di Lancet di qualche anno dichiarava che rispetto a queste infezioni saremo ‘forever unprepared’, sempre impreparati, perché proprio il loro essere nuove pone problemi nuovi e complessi. Ciò non significa che siamo impreparati in senso assoluto, ma che i margini dell’imprevisto sono per forza elevati. La WHO ha una blue print list di malattie pericolose in cui campeggia una disease x, la malattia ignota, che potrebbe un giorno ipoteticamente verificarsi. Nessun sistema sanitario al mondo comunque è in grado di risolvere ‘tutto al momento’ in casi come questo. Il nodo dei patogeni emergenti esiste: solo negli ultimi trent’anni, anche per l’affinarsi delle metodiche diagnostiche, ne sono ‘emersi’ un centinaio. Solo per la famiglia dei coronavirus ne abbiamo visti tre daL 2003 a oggi, contando solo i più aggressivi. Il sistema deve prevedere la miglior risposta possibile, sapendo di doverla adattare alle nuove circostanze. La risposta al SARS2-Cov-19 è in atto. Non è una passeggiata, ma non è nemmeno il morbo che ci travolgerà. Va ricordato che nella grande maggioranza dei casi di questa malattia si guarisce”.

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