23 giugno 2020
L'esperienza di Sophie Queuniet della Columbia University sulle nuove modalità di insegnamento
Man mano che il coronavirus si diffonde, gli istituti di istruzione superiore si trovano ad affrontare una grande sfida: come possono continuare a offrire istruzioni se le lezioni e le lezioni frontali sono chiuse? Un numero crescente sta spostando le classi online come soluzione a breve termine. Inoltre, poiché gli studenti vogliono impegnarsi attivamente nel proprio apprendimento, le università stanno proponendo nuove forme di insegnamento.
L'istruzione a distanza e i MOOC (Massive Open Online Courses) che utilizzano materiale preregistrato sono stati una soluzione molto popolare, ma esiste un altro tipo specifico di apprendimento a distanza: corsi sincroni, in cui gli studenti faccia a faccia e da remoto ricevono istruzioni in tempo reale.
AUTORE: EACEA _EURYDICE
Marco Saroglia
25/06/2020 alle 12:38
Non condivido l'opinione.Sebbene utile in tempo di lokdown, l'Università ha bisogno di creare contatti ed empatie tra studenti e tra studenti e docenti. Sono necessarie discussioni di gruppo "de visu" per far nascere e stimolare idee, discussioni che continuano anche dopo le lezioni, nei corridoi, in caffetteria, nei laboratori. Ne acquisiscono non solo gli studenti, ma anche i docenti. Non mi si dica che questo vale solo per i corsi scientifici: tutto l'insegnamento universitario, di qualsiasi materia si tratti, umanistica o scientifica, è (od almeno dovrebbe essere) impregnato di ricerca e di scienza. Se questo viene a mancare, non è più università, ma neanche pessimo liceo. Seminari a distanza possono essere indubbiamente utili, ma non da soli. Anche le motivazioni agli studenti: non si ottengono certo con insegnamento a distanza, non è una chat per cuori solitari ed appuntamenti al buio.
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rosaria Fissi
09/07/2020 alle 11:39
La soluzione dell'insegnamento a distanza non è la soluzione giusta, per gli aspetti relazionali docente-allievo-allievo-allievo e motivazionali.
Va scartata, tenendo presente che non c'era alcuna motivazione scientificamente appurata per la chiusura dell'Università. L'unico studio sul rischio di infezione SARS COV, indicava la partecipazione a meetings con piu' di 10 persone, come fattore protettivo dall'infezione (OR tuttavia non sigbificativo). E' possibile inoltre utilizzare l'Universit come modello di prevezione con ricerhe epidemiologiche appropriate.
Prof. Giuseppe R.Brera
Rettore Università Ambrosiana
Direttore Scuola Medica di Milano