Marzia Vacchelli insegna Lingua e Cultura Tedesca al Liceo Linguistico “Veronica Gambara” di Brescia, è Docente Esperta presso il CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia - Università Cattolica di Milano), Teacher Trainer e Media Education Manager.
Con l’emergenza Coronavirus, la sua attività è più che raddoppiata: e uno degli spazi in cui illustra le possibilità offerte dalla tecnologia alla didattica è quello di Open Scuola, community creata da Regione Lombardia per supportare la formazione a distanza imposta a istituti, docenti, alunni. A lei abbiamo chiesto di raccontarci il nuovo orizzonte in cui si è trovato catapultato il mondo della scuola, e quanto la tecnologia potrà incidere anche oltre la fase dell’emergenza.
Professoressa, da quanto si occupa di didattica digitale e innovativa?
Nel mio istituto, dove seguo anche internazionalizzazione e programmazione europea, seguo didattica supportata dalla tecnologia e media education a partire dallo scorso settembre. La mia attività di formatrice peraltro risale al 2013, quando ho superato la selezione per frequentare un corso di alta formazione in Metodologia di Gestione della Classe Digitale dell’Università Cattolica: ricordo ancora che il test andava svolto al pc e già questo aveva ‘dimezzato’ il numero dei partecipanti rispetto a quello degli iscritti. Siamo stati selezionati in una quarantina, e abbiamo cominciato a formarci e poi a formare docenti e dirigenti sui temi della didattica digitale e in particolare della metodologia EAS (Episodi di Apprendimento Situato) elaborata dal prof. Pier Cesare Rivoltella, direttore e fondatore del CREMIT. La mia attività nel corrente anno scolastico riguarda i 51 istituti dell’ambito 06, e devo dire che, con l’eccezione di alcuni entusiasti, le reazioni erano in generale di diffidenza e incomprensione verso questo nuovo modo di insegnare. Eppure offre grandi possibilità”.
Quali, ad esempio?
“Intanto non si illustrano solo strumenti tecnologici ma un metodo pedagogico e dei contenuti - flipped Classroom, Project/Problem Based Learning, EAS, modello TPACK Distribuito elaborato dall’equipe di Nicoletta di Blas - Politecnico di Milano. Del resto, io stessa non sono un’informatica e non ho un profilo tecnico, anche se mi appassionano le tecnologie: quello a cui si punta è apprendimento di un metodo per la gestione della classe digitale, come mostra appunto il TPACK che miscela contenuti, impatto tecnologico e pedagogia. Questo presuppone ad esempio una grande collaborazione tra docenti, dal momento che quasi nessuno può essere del tutto competente su tutti e tre i fronti. Ed è questo ad esempio uno degli aspetti che la Didattica a distanza può aiutarci a valorizzare”.
Quali sono allora secondo lei i contributi più significativi della DAD?
“Grazie ai diversi strumenti digitali, ci ha permesso di personalizzare le lezioni per i singoli studenti, specie per quelli con disturbi di apprendimento, in un modo che non sempre si riusciva a garantire in presenza: la tecnologia ci ha aiutato insomma a mettere in pratica nuovamente nel fare scuola i valori predicati da Don Milani. Ci sono ragazzi con problematiche anche gravi da cui abbiamo avuto un’ottima risposta, nel momento in cui abbiamo adattato le ‘lezioni’ alle loro esigenze. Questo allora è il valore aggiunto che la didattica a distanza potrà portare alla scuola anche in futuro, oltre l’emergenza. Del resto, da tempo sono convinta che la formula più adatta alle nostre scuola sia quella ‘blended’ ovvero mista, tra lezioni in presenza e attività digitali. Il documento elaborato dal mio dirigente sulle Linee Guida per la Didattica Digitale va proprio in questa direzione” (in allegato, ndr).
Qualche esempio di applicazione di questa formula?
“Intanto non possiamo non citare la didattica del Politecnico di Milano. Ma restando alla scuola, posso citare alcuni lavori fatti dai nostri alunni al liceo Gambara: non solo il laboratorio di tecnologie musicali, ma anche i saggi svolti utilizzando video e podcast: una modalità che tra l’altro impedisce loro di copiare informazioni dal web e li costringe a elaborare contenuti personali. In questo senso, la didattica digitale può restituire agli studenti - e quindi alla scuola - quella creatività che in questi anni ha troppo spesso lasciato il posto a un’eccessiva burocrazia”.
Quanto sono cresciute le domande di formazione sulla didattica on line in seguito alla chiusura dalle scuole?
“Per dare un’idea posso dire che se prima a miei laboratori partecipavano dai 30 ai 50 docenti, a fronte di una platea potenziale di centinaia di persone, dopo il lockdown i laboratori on line vengono frequentati anche da 160-170 insegnanti al giorno!”
Lei è tra le animatrici di Open Scuola, l’iniziativa di Regione Lombardia per supportare la didattica a distanza, e in particolare della nuova community #formazione@ambito6Lombardia. Come valuta questa esperienza?
“Ottima. E non solo per la possibilità di condividere strumenti e materiali tra docenti, che è la mission di Open Scuola e che è estremamente utile. Importante è anche la sua accessibilità: entrare alla Community è davvero molto semplice e, per quella che è la mia esperienza in questo periodo, per gli insegnanti anche i secondi contano. Altro elemento per me fondamentale è la possibilità di avere una peer-review, per cui nella Community ci si confronta sugli strumenti da offrire”.
Ecco, che domande le arrivano dai docenti alle prese con la didattica a distanza?
“Mi chiedono soprattutto di risolvere problemi! Una docente di violino, ad esempio, cercava una piattaforma in cui l’upload dei file audio inviati dagli allievi fosse più performante rispetto a quella da lei utilizzata. Si cercano applicativi, o come funzionano. Io porto quella che è la mia esperienza, in base alla quale nel tempo ho scoperto strumenti utilissimi. Prima fra tutti le repository di Drive per condividere in tempo reale quello che si elabora. O come la piattaforma FIDENIA, che ho iniziato a usare anche prima dell’affermazione di Classroom: è uno spazio ‘social’ (tutto italiano) per condividere strumenti con altri istituti per tutti gli ordini di scuola. E poi e-Twinning: si tratta di una piattaforma collaborativa europea per avviare progetti con scuole di altri Paesi. La procedura è snella e può essere utilizzata anche da alunni delle scuole dell’infanzia: è infatti il docente a registrarli e a fornire loro una password personale.
In generale, le maestre delle elementari sono le più entusiaste e le più pronte a sperimentare, mentre al liceo ha trovato più docenti ‘scettici’: nonostante tutto, è ancora diffusa l’idea che la tecnologia ‘rovini tutto’, che rappresenti insomma un impoverimento rispetto alla didattica tradizionale”.
Un problema culturale, o di mancanza di fondi adeguati per la formazione?
“I fondi ci sono e c’erano anche prima dell’emergenza. È vero che i team innovazione previsti nelle scuole dal Piano Nazionale Scuola Digitale sono talvolta rimasti una formalità ma, tra PON e Scuola Digitale, non si può dire che i finanziamenti siano mancati”.
Ora invece che le scuole si sono in qualche modo organizzata, ci sono ancora insegnanti che faticano a gestire la nuova situazione? Di che strumenti avrebbero bisogno?
“È fondamentale che possano usufruire di una consulenza individuale, una sorta di ‘sportello’ che li accompagni: il lavoro di formazione sulla didattica on line in genere procede per gruppi ma ci sono molti docenti in difficoltà, vuoi perché più riservati vuoi perché in effetti non ancora al passo con certi strumenti. Questi insegnanti hanno bisogno di sentirsi supportati e non tagliati fuori, come invece purtroppo avviene in certe dinamiche di gruppo. Questo può valere anche per i neo immessi in ruolo, di cui anche mi sto occupando e di cui ho potuto rilevare un’ottima preparazione: docenti che si trovano a esordire in un contesto del tutto nuovo”.
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