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Storie di innovazione
Dai diamanti non nasce niente… e dal caffè?
Un progetto di CNR, UniMi ed Eurac per dare nuova vita a 7,5 tonnellate l’anno di pellicola che ricopre il chicco: da scarto a materia per l’industria cosmetica e la produzione di carta
di Redazione Open Innovation | 03/04/2018
Carta e cosmetici dagli scarti del caffè. L’Istituto di scienze e tecnologie molecolari del CNR, l’Università di Milano e Eurac Research hanno avviato una sperimentazione per studiare il possibile riutilizzo di uno particolare scarto industriale della tostatura del caffè – chiamato “silverskin” - per la realizzazione di carta e cosmetici. La ricerca nasce proprio per analizzare la possibilità di recuperare questo materiale in ottica di economia circolare, la cui parola chiave è “riuso”. Le attività si svolgono all’interno del progetto CirCo, finanziato da Fondazione Cariplo e Innovhub SSI.
SILVERSKIN, LA PELLICOLA ARGENTEA DEL CAFFE’
Le dieci milioni di tonnellate annue di caffè consumante ne fanno il secondo prodotto più venduto al mondo (dati 2015). L’Italia è il quarto paese al mondo per consumo, con 3,4 chilogrammi a testa all’anno.
La lavorazione del caffè genera quantità notevoli di scarti, tra cui la polpa del frutto, il pericarpo, la pergamena, la pellicola argentea e i residui d’estrazione. L’eliminazione di questi scarti potrebbe dunque rappresentare un’opportunità da cogliere sia sul piano ambientale sia su quello economico.
Lo scarto organico oggetto della ricerca capitanata dal CNR è chiamato “silverskin” perché si tratta, appunto, di una pellicola argentea che fa da sottile rivestimento al seme del caffè, ricoprendone e proteggendone lo strato esterno. Una materia molto soffice, che corrisponde fino al 2% del peso totale del chicco. A rendere questo materiale particolarmente interessante è la “lunga conservazione”: una volta essiccata, la pellicola può mantenersi intatta molto a lungo.
Solo in Italia, il silverskin ammonta a circa 7,5 tonnellate all’anno. L’interrogativo che si pone la ricerca è come riutilizzarlo secondo una logica di risparmio sui costi energetici e sullo smaltimento dei rifiuti, di gestione intelligente delle risorse e di riduzione dell’impatto ambientale.
In alcuni Paesi viene già utilizzato come fertilizzante del terreno o come combustibile, ma il “silverskin” potrebbe essere usato in diversi modi. Il primo, come additivo nella produzione di carta. Oppure, grazie all'estrazione di determinate molecole, potrebbe diventare un utile agente per la cura della pelle per l’industria cosmetica. Al progetto di ricerca allora collaborano non a caso anche la cartiera Favini e l’azienda cosmetica Intercos.
SILVERSKIN, RISORSA SICURA?
Quando non è uno scarto, il silverskin è una risorsa sicura? Importante, infatti, è anche valutare l’impatto ambientale del processo di riciclo, dall’inizio alla fine. Gli esperti di energia di Eurac Research studieranno il riciclo dello scarto in termini di sostenibilità ambientale, valutando la tecnologia dal punto di vista energetico e di emissioni di CO2, e quindi se quest’ultima possa essere adottata sul mercato.
I ricercatori analizzeranno parametri come il consumo energetico e le emissioni di CO2 in tutte le diverse fasi di trasformazione della materia di scarto in prodotto finito: dalla raccolta del silverskin negli impianti di tostatura, passando per il trasporto verso le industrie cosmetiche e cartiere, il processo di estrazione delle molecole utili e la trasformazione in carta e cosmetici, fino al packaging di questi prodotti e alla distribuzione ai consumatori.
ECONOMIA CIRCOLARE: COS’E’?
La parola d’ordine della Circular Economy è “riutilizzo”, grazie alla capacità di immaginare usi diversi da quelli consueti. È l’addio alla filosofia dell’usa e getta: in un mondo dalle risorse esauribili trovare una soluzione allo spreco rimettendo in circolo materie in maniera responsabile è l’obiettivo da porsi, anzitutto a livello economico. Quella del “riciclo” è una missione che si inserisce poi in un modello di sviluppo non più lineare, dove gli scarti di un'impresa diventano la materia prima di un'altra. È insomma anche un nuovo modo di organizzare la produzione, ormai diffuso in tutti i settori.
Il passaggio a una crescita sostenibile passa dunque attraverso iniziative con un impatto significativo sulle fasi del ciclo economico-produttivo tradizionale, quello che prevede estrazione, produzione, consumo, smaltimento. Un cambio di paradigma, necessario, dunque.
Oltre che essere una delle sfide ambientali più promettenti, l’Economia Circolare è un settore in cui l’Italia è leader a livello europeo. Lo certifica l’Eurostat, secondo il quale tra gli stati membri dell’UE il Belpaese è quello con la quota maggiore di “materia circolare” impiegata dal sistema produttivo: quasi un quinto del totale (18,5%), ben davanti alla Germania (10,7%) unico paese europeo più forte di noi nella manifattura.
CIRCULAR ECONOMY, LA LOMBARDIA ALLA GUIDA DELLA CORDATA ITALIANA
È la Lombardia a guidare la cordata italiana ed europea dell’economia circolare. Secondo la piattaforma web “Atlante dell’economia circolare” sarebbe la regione italiana con il maggior numero di esperienze di trasformazione degli scarti in materie prime secondarie e di riduzione degli sprechi. Per la precisione, il 21% degli esempi virtuosi mappati sono stati realizzati nel territorio lombardo - seguono Lazio col 15%, Toscana col 12% ed Emilia-Romagna e Veneto col 7% - mentre Milano, con 12 casi degni di nota, figura al secondo posto nella classifica delle province più meritevoli, preceduta da Roma con 15 casi.
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