Si fa presto a dire startup
Antonio Santangelo
Pubblicato il 18/07/2017
Ultimo aggiornamento: 06/02/2018 alle 14:22
Secondo il MISE (dati marzo 2017), la Lombardia è la regione che ospita il maggior numero di startup innovative: sono 1596 e rappresentano quasi un quarto (23,2%) del totale nazionale, seguita da Emilia Romagna (764 – 11,1%) e Lazio (655 – 9,5%).
Dal varo del Decreto Crescita 2.0 del 2012, le iniziative di promozione delle startup si sono moltiplicate sul territorio, e non v’è regione in cui non si sia tenuto un pitch, un incontro con investitori, un convegno di riflessione.
Non v’è dubbio che il fenomeno abbia molteplici aspetti positivi, innanzitutto come individuazione di alternativa concreta all’exit tradizionale, la ricerca di un posto fisso che è stata la stella cometa inseguita da generazioni. Una stella molto appannata di recente, non solo per la lunga crisi finanziaria che abbiamo alle spalle, anche per la perdurante difficoltà dei giovani a trovare spazio in un mercato del lavoro che privilegia i loro padri e, per i più giovani, persino i loro nonni.
Ecco quindi che la spinta all’auto-imprenditorialità può rappresentare una alternativa all’emigrazione all’estero o all’attesa rassegnata che qualcosa si muova, anche per la lentezza con cui al Jobs act stentano a seguire tutti i supporti alla riqualificazione e alla ricerca del lavoro che invece ne sono parte essenziale.
Purché siano chiare alcune premesse.
La moltiplicazione di concorsi, bandi, iniziative e giornate dedicate all'esposizione di idee imprenditoriali è stato l'elemento caratterizzante la fase del dopo-crisi finanziaria. Si fa spesso riferimento a Silicon Valley, a Londra e, più di recente, a Berlino; si indicano negli unicorni (startup il cui valore è uguale o superiore al miliardo di dollari) la meta da raggiungere, con la stessa enfasi con cui 50 anni fa si indicava l'obiettivo di una sistemazione in una azienda a partecipazione di Stato.
E' bene chiarire, allora, che il successo dei territori citati deriva dalla capacità di creare un contesto ricettivo e adatto a ospitare e sviluppare le nuove idee, un ecosistema i cui ingredienti sono: capitali, servizi, open innovation.
Per quanto riguarda l'aspetto finanziario è cruciale la presenza di finanziatori (venture capital) che siano specializzati su ambiti molto focalizzati, in grado cioè di conoscere modelli di business, criteri, tecnologie, servizi e persone di riferimento del settore/comparto/area di specializzazione. Ciò li mette in grado di valutare e apprezzare l'innovazione senza bisogno di ricorrere a terzi o di proteggersi dall'insuccesso chiedendo garanzie ai clienti.
Così i servizi a sostegno delle nuove iniziative sono cruciali per la loro sopravvivenza: dal marketing alla gestione, dal supporto all'internazionalizzazione a quello alla partecipazione ai bandi europei. Più personalizzati e meno standardizzati sono, tanto maggior valore hanno.
Infine, l'open innovation non è semplicemente facilitare la condivisione della conoscenza o spingere alla collaborazione le imprese. E' innanzitutto il riconoscimento da parte delle imprese (grandi e medie principalmente) che le idee più innovative stanno all'esterno dell'azienda; ciò si traduce nella disponibilità a collaborare, più spesso ad acquistare, la start up o il suo fondatore. Sono le idee, e la capacità di metterle in pratica, il valore reale delle start up. La grande impresa si apre acquistando intelligenza sul mercato e dando prospettive e strategia alle iniziative più promettenti.
In assenza di questo si condannano le nuove imprese a vivacchiare, quando va bene.