Vanda Lombardi

Vanda Lombardi

Pubblicato il 23/08/2017

Pubblicata il 23/08/2017 alle 16:04
Ultimo aggiornamento: 23/08/2017 alle 16:57
Immagine della discussione

La notizia è di quelle che facilmente si prestano alle chiacchiere sotto l’ombrellone magari con qualche facile e ammiccante semplificazione: basterebbero 4 ore al giorno per svolgere il lavoro che ci viene richiesto. Al di là delle facile battute e congetture sul tempo passato alla macchinetta del caffè oppure su cosa ci piacerebbe fare nelle 4 ore di tempo libero guadagnate, è più interessante approfondire la notizia e trarne qualcosa di utile. Il tutto nasce da un articolo pubblicato su un mensile che riprende un saggio di Alex Soojung-Kim Pang dal titolo Rest: Why You Get More Done When You Work Less (ovvero: Riposatevi: perché ottenete di più lavorando di meno).

Il libro porta avanti la tesi che i lavoratori della Conoscenza (invito a leggere sul tema una discussione pubblicata qui in Open Innovation da Sebastiano Bagnara) non possono essere legati ai ritmi pensati e progettate nella vecchia era industriale. L’autore cita a supporto anche il caso di importanti figure storiche nel campo della politica, dell’ingegno e dell’arte. L’idea di fondo è che si debbano sfruttare al meglio i ritmi della nostra attività cognitiva, favorendone le migliori performance attraverso periodi di massima concentrazione a cui corrispondono altrettanto intensi periodi di riposo e relax.

Il lavoro creativo, questa è l’ipotesi, non può essere comandato e - più che altro - sostenuto per troppo tempo. Al di là delle battute cui facevo riferimento all’inizio, è indubbia la esperienza comune che - nelle otto o più ore che passiamo al lavoro - molte siano di fatto dedicate a momenti in cui ci allontaniamo dall’attività creativa specifica, a massima efficienza. Ci ritroviamo magari coinvolti in attività di socializzazione - dal caffè alla riunione alla telefonata di contatto -  o a basso coinvolgimento cognitivo, magari riordinare l’archivio digitale o formattare un file. Certamente non possiamo riposare e questo indebolisce l’efficacia del prossimo periodi di attività creativa o cognitiva che ci viene richiesto.

In parte lo smart working - laddove si voglia interpretare in modo serio questo termine - raccoglie questa necessità, lasciando all’autonomia individuale la costruzione del proprio tempo lavorativo, in coerenza con i propri ritmi.

Tutto bello ma - come ci dicono alcuni autori d’oltreoceano - le organizzazioni non riescono a fare a meno delle persone, della loro disponibilità e presenza. Si dovrebbe pensare a modelli in grado di ottimizzare gli strumenti di connessione e condivisione delle informazioni nonché di metodologie di gestione adeguate al lavoro sulla Conoscenza, di cui ci occuperemo sempre di più in futuro. Per ora le nostre quattro ore di lavoro rimangono lì ad occuparci tutta la giornata!

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