La salute dell'ecosistema del Paese
Antonio Santangelo
Pubblicato il 28/08/2017
Ultimo aggiornamento: 19/05/2018 alle 09:07
In un articolo di luglio per il sole24ore Luca Tremolada misura la temperatura all’ecosistema dell’innovazione italiano. Il malato è febbricitante e molto debole.
Le startup italiane sono circa 7.000, e le loro caratteristiche sono ben lontane dal definire un livello di qualità confrontabile con esperienze estere. Il dato medio non esclude che tra esse si annoverino anche eccellenze, ma sta di fatto che gli unicorni siano molto rari. Certo, l’Italia con il suo debito pubblico non si può permettere di imitare Macron, che ha appena investito 10 Mdi € in un fondo per start up, ma la debolezza dell’ecosistema sta in un fatto culturale più ampio.
Ma occorre partire dall’anagrafica, innanzitutto. Milano e la Lombardia la fanno da padrone, circa 1167 imprese (una su sette) stanno nell’area metropolitana, 627 stanno a Roma, seguita da Torino (286) e Bologna (238). Il 35% circa è costituito di imprese nel settore ICT, il 14% nella ricerca, mentre solo il 6% circa attengono a settori industriali. Un forte limite è costituito dalla capitalizzazione, e quindi dalla dimensione: la maggioranza capitalizza tra i 5 e i 10.000 €, il 74% non supera i 10.000. Circa l’80% non va oltre i 4 addetti e la metà fattura meno di 100.000 € annui.
Per capire meglio, è necessario considerare due aspetti ulteriori: uno interno, relativo agli asset e alle competenze, l’altro esterno, riguardante il contesto economico nazionale.
Se si considerano gli asset in possesso delle start up, almeno quelli indicati dal decreto Passera del 2012 sulle startup innovative, solo il 20% è in possesso di un brevetto, mentre la mancanza di dati completi relativi a investimenti in R&D pari almeno al 15% del fatturato, al titolo di studio dei componenti del team evidenzia la sottovalutazione o la debolezza delle iniziative.
Se a questo aspetto si aggiunge quello relativo al contesto nazionale, il quadro è nitido.
Nelle situazioni evolute (non solo gli Usa, ma in Uk e in Germania), la fase di start up non è il primo passo verso una lunga vita ma è una sorta di vetrina felice – e limitata nel tempo – necessaria ad attrarre l’interesse di una azienda medio-grande che la acquisisca, o perché interessata all’idea progettuale-modello di business, o perché attratta dalle persone che la animano. E quindi il contesto finanziario di casa nostra ad essere carente: se pure le fasi iniziali della vita (seed capital) sono coperte dall’intervento pubblico, a mancare è il sostegno dell’economia nazionale (finanza o impresa). Questo è il vero limite.