Sofia Maggi

Sofia Maggi

Pubblicato il 31/10/2017

Pubblicata il 31/10/2017 alle 13:24
Ultimo aggiornamento: 14/11/2017 alle 11:19
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Il tema della qualità dell’informazione e della comunicazione nel nuovo mondo interconnesso e digitale, è una questione molto più importante di quanto si possa percepire. Non ha caso se ne è parlato nel recente summit di Samsung sulla cybersecurity: la qualità del dato, la sua autorevolezza e validità, sono elementi importanti nel momento in cui il volume e la velocità delle informazioni assumono dimensioni mai immaginate e vanno a comporre il “petrolio” dei contemporanei e futuri “mezzi di produzione” (mi si passi la definizione ottocentesca).

In questo senso ho trovato estremamente interessante l’intervento che il professor Vincenzo Zeno-Zencovich (Università di Roma Tre) ha tenuto alla XXXI edizione del Festival Eurovisioni.

La posizione di partenza è che le “notizie false” non esistono perché, in realtà, non esistono le “notizie vere”. Nel sistema della comunicazione e dell'informazione esistono, invece notizie i cui elementi costitutivi e le cui fonti sono stati diligentemente accertati. Di ogni fatto notiziale possono essere fornite due o molteplici versioni: da quello più banale (l’incidente stradale nella versione dell’investitore e dell’investito), a quello più drammatico (l’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914).

La pretesa che l’informazione sia “vera” è filosoficamente insostenibile e socialmente e politicamente inattuabile.

Zeno-Zencovich vede in questo interesse sulle fake news la convergenza fra ipocrisia e opzioni ideologiche. Rispetto al fatto di cronaca di maggior interesse, ovvero l’accusa mossa a Donald Trump influito sulla campagna elettorale a suon notizie false, appunto, Zeno-Zencovich oppone un suo parere contrario che si basa su due elementi principali. Il primo riguarda l’impossibilità di individuare relazioni di causa-effetto che andrebbero analizzati su processi psico-sociali complessi e che, anche sulla base di alcuni dati statistici (rispetto all’elettorato di Trump), sembrano seguire modelli diversi dal mero effetto di certa informazione. Il secondo elemento richiama una reazione di chi ha perso, centrata sulla evidenziazione di un comportamento scorretto dell’avversario.

Altro tema affrontato, rispetto alle “fake news”, riguarda il ruolo dell’informazione pubblica e il controllo delle fonti di informazione. Zeno-Zencovich mette in allarme da posizioni che - partendo da questo punto - arrivino a minacciare la Rete come ambiente democratico. Del resto, la rete e i social media che hanno sostenuto le “fake news” di Trump sono lo stesso ambiente in cui si è sviluppato il fenomeno Obama. Altro esempio viene dalla Gran Bretagna dove il ruolo dell’informazione pubblica della BBC sul tema Brexit non ha certo potuto intervenire sulla comunicazione senza freni di Boris Johnson.

Zeno-Zencovich allora intravede nella campagna contro le “fake news” un approccio elitario e anti-democratico confermato anche dal modo con cui il ricorso a messaggi massimalisti, non accertati e pregiudizievoli, sia agito e tollerato dagli attori dell’informazione giornalistica e al tempo stesso additato e biasimato se ha come protagonisti privati cittadini.

Così si conclude l’intervento: “non esistono “fake news”. Ci sono notizie e commenti che sono legittimi se si fondano su un diligente accertamento e sono espressi in modo tale da non ledere ed annientare la personalità altrui. E tale obbligo è, ovviamente, molto più stringente per chi professionalmente e dietro retribuzione svolge attività informativa, rispetto al comune cittadino che non può invocare immunità, ma solo se questa non è concessa a chi, meno di chiunque altro, ne ha il diritto.

Si ripulisca il mondo dell’informazione tradizionale e si vedrà che anche i cittadini (e candidati politici) si sentiranno meno legittimati a comportarsi in modi inqualificabili.”

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