Luigi Rosati

Luigi Rosati

Pubblicato il 16/11/2017

Pubblicata il 16/11/2017 alle 10:56
Ultimo aggiornamento: 04/12/2017 alle 11:44
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Ricordate i grandi stilisti che si imposero negli anni ‘80 e ‘90? L’avvento delle grandi maison, nuovi unicorn business negli anni ‘00? E l’icona della Wintour, deus ex machina delle tendenze della moda internazionale (che ha ispirato il libro e l’omonimo film “Il diavolo veste Prada”)? Ecco, la digital transformation probabilmente renderà questi personaggi dei ricordi. Infatti, se fino a oggi le tendenze della moda erano ispirate dagli stilisti, cui spettava il compito di sintetizzare segnali deboli, cambiamenti di costume e culturali per farli confluire in stili di abbigliamento e comportamento, d’ora in poi sono sempre più le persone, i consumatori a creare e sviluppare i fashion trends.

Un articolo di Sandro Mangiaterra, di pochi giorni fa, riassume e descrive questo cambiamento che non è banale né di poca importanza.

Ovviamente il punto di partenza è il boom dell’e-commerce nel settore abbigliamento e lusso; qualche dato. Crescita del settore nel 2016: +35%, nel 2017 si stima un +27%, valori decisamente oltre la media del commercio in Rete nel suo complesso (+17%). E poi il dato economico: fatturato pari a 3,6 miliardi di cui 2,1 rappresentati da ordini interni e 1,5 per vendite all’estero (ovvero export). Ma se gli acquisti on-line rappresentano un terzo delle vendite si deve considerare che il modello più diffuso e di maggior interesse è quello ibrido, ovvero la commistione di fisico e virtuale. Un classico è la selezione di abiti in negozio e poi l’acquisto on-line (confrontando semmai prezzi e servizi aggiuntivi); nel settore si chiamano Ropo (Research online, purchase offline) e Topo (Try offline purchase online). E i player non stanno lì a guardare perchè il cambio di paradigma, appunto, non è imporre mode e modelli precostruiti ma ascoltare e seguire i consumatori e assecondarli e sfruttarne idee e proposte. Così nei centri OVS vi propone la app per trovare e prenotare la taglia del capo che avete scelto oppure negli store GEOX potete fare un acquisto on-line in negozio, ricevendo così a casa la scarpa che avete individuato (di cui il punto vendita è sprovvisto per numero, colore o modello). E anche il gigante Amazon sta pensando ad allestire magazzini aperti al pubblico.

E la digital transformation cambia anche i modelli di scelta e di orientamento; non solo le fashion blogger - che comunque rappresentano un fenomeno non da poco, per numeri e risultati - ma una generale maggiore esposizione dell’immagine privata influisce sul modo con coi le persone traggono esperienza e si condizionano reciprocamente rispetto al proprio stile di abbigliamento. Dunque fenomeni macro ma anche una costellazione di esperienze micro in grado - grazie all'amplificatore social - di influenzare consumatori su scala mondiale e con velocità inaspettate.

Nel settore Moda, dunque, si applica la medesima indicazione che si è già imposta altrove: non semplicemente fare “comunicazione in Rete” ma avere una “strategia digitale”; avere un sito è un elemento implicito e non sufficiente. Si deve sviluppare un modello di business che integri CRM, Sales&Marketing, Logistica e approvvigionamenti, User Experience e infrastrutture informative. E questa strategia non può prescindere dal coinvolgimento dei clienti, sia come user research sia come user engagement, perché - specialmente in questo settore - sono i nostri clienti a decidere cosa e come acquistare, come interpretare stili e modelli di acquisto, magari sviluppando implicitamente soluzioni innovative.

E il settore cosa fa? Finalmente è al nastro di partenza il Cluster del Made in Italy, sviluppato nell’ambito Programma nazionale della ricerca 2015-2020. Si tratta di un passo importante che. tra l’altro, formalizza la collaborazione con il settore della Ricerca e delle nuove tecnologie in un comparto in cui la dimensione e la cultura artigiana e piccolo imprenditoriale hanno rappresentato un freno all’innovazione.

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