Sebastiano Bagnara

Sebastiano Bagnara

Pubblicato il 29/11/2017

Pubblicata il 29/11/2017 alle 22:41
Ultimo aggiornamento: 12/12/2017 alle 15:41
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In questi mesi sono stato coinvolto, con altri ricercatori ed esperti, nella redazione di un paper dedicato alle competenze digitali. Il lavoro è stato coordinato da Astrid in collaborazione con Google. Il documento, dal titolo “Opportunità digitali: crescita e occupazione” è stato pubblicato la scorsa primavera.

Si tratta di un contributo articolato che ha l’obiettivo di definire un quadro esaustivo sulle competenze digitali, in Italia, e a cui si rimanda per un esame approfondito.

In questa sede vorrei riportare un passaggio emerso nella definizione ed approfondimento preliminare del concetto di competenza digitale.

Siamo, infatti, in presenza di un approccio radicalmente diverso dai precedenti: le tecnologie non vanno introdotte per essere al passo con i tempi, ma in quanto elemento abilitante perché in caso contrario tutti i percorsi di formazione saranno destinati all’inefficacia. Non bisogna innovare i percorsi di formazione e l’organizzazione dei processi produttivi perché ci sono le innovazioni tecnologiche, ma perché il mondo sta cambiando e richiede, in ogni ambito, nuovi paradigmi e nuovi modelli organizzativi che presuppongono competenze capaci di immaginarli e costruirli.

Avendo però chiaro, e questo è fondamentale, che “la pretesa di conoscere oggetti senza servirsi dell’esperienza è insensata”.

La società di oggi richiede la produzione di una conoscenza sempre nuova, che sviluppi capacità culturali e cognitive in grado di dar luogo ad analisi, diagnosi, decisioni e a pianificare gli atti conseguenti. Ciò deriva da un profondo mutamento del lavoro che già oggi è basato sulla flessibilità delle funzioni, su competenze comunicative sempre più ampie, sulla piena padronanza delle infrastrutture tecnologiche.

Occorre far sì che i lavoratori possano essere dotati, oltre che di un’elevata competenza professionale, anche di autonomia e capacità di decisione. Occorre cioè che siano in grado di governare la complessità: riuscire a legare e a connettere le conoscenze, a collegare e a distinguere al tempo stesso.

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