Quando internet viene chiusa: le minacce alla libertà di connessione
Annarita Tronchin
Pubblicato il 29/12/2017
Ultimo aggiornamento: 14/05/2019 alle 19:42
Internet - la Rete - ormai rappresenta un diritto dei cittadini. Diritto di informazione, di espressione come pure di accesso a strumenti per lavorare, formarsi anche solo essere in contatto con i propri simili, amici, parenti, ecc.
Tuttavia questa forma di diritto è ancora spesso minacciata in particolare da misure governative che portano alla chiusura dei servizi internet, i cosiddetti “internet shutdown”. Nel 2017 sono stati 116 in trenta diversi Paesi. Negli ultimi 21 mesi questo fenomeno ha interessato ben 30 Paesi, tra questi il numero più alto è registrato – con netto distacco dagli altri – dall’India, dove i blackout sono stati 54. Segue il Pakistan con 10 episodi, a sua volta seguito da Turchia, Siria e Iraq con 5 casi ciascuno.
In calce l’infografica elaborata da Sytatista.com.
Si tratta di un numero crescente, come evidenziato da un allarme lanciato dall’UNESCO.
Le ragioni ufficiali a questi blocchi sono questioni di sicurezza nazionale, leggi anti-terrorismo, situazioni di stato d’emergenza.
Tuttavia, con la metà della popolazione mondiale connessa, e lo sviluppo di tutti i processi comunicativi, informativi e partecipativi sulla Rete, internet è divenuta un diritto fondamentale, tanto da essere oggetto di numerose FOI laws (Freedom of Information), atti legislativi dedicati proprio alla tutela della libertà e garanzia di connessione per tutti.
E quanto questo principio sia delicato, lo testimonia la discussione di questi giorni intorno alla Net neutrality, che negli USA sarà intaccata da nuove norme. In questo senso, intervengono differenze nell’accesso ai contenuti sulla base di servizi a pagamento, modificando così il carattere di equità che la Rete ha sempre difeso e rappresentato.
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