Sebastiano Bagnara

Sebastiano Bagnara

Pubblicato il 17/01/2018

Pubblicata il 17/01/2018 alle 14:19
Ultimo aggiornamento: 01/03/2019 alle 12:34
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Nella mia carriera mi sono occupato anche di disabilità; per me è stato ed è tuttora un tema importante poiché riunisce in sé i principali ambiti di studio di cui mi sono occupato: la comunicazione e l’ergonomia.

Sono nato alla fine della guerra e sono cresciuto tra le montagne del Veneto, ho sempre collegato il concetto di disabilità con qualcosa che era connesso con la solitudine e ho sempre pensato, anche nell’esperienza personale, che il disabile fosse una persona a cui non si poteva parlare o a cui era difficile parlare e che, d’altra parte, non riusciva o aveva difficoltà a comunicare con gli altri.

Proprio gli studi di comunicazione e di ergonomia - il lavoro svolto in particolare sulle interfacce - mi hanno fatto comprendere che il problema centrale nella disabilità era la solitudine, la mancanza di comunicazione del portatore di handicap e mi sono, quindi, chiesto come questo problema potesse essere risolto.

A mio modo di vedere è possibile approcciare il problema da quattro punti di vista.

In primo luogo dando voce al portatore di diversità, al diverso. Come? Essenzialmente fornendogli strumenti per comunicare. Significa sostanzialmente mettere in condizione il disabile di raccontare il suo essere, per esprimere le sue capacità, per esprimere le sue potenzialità, con modalità anche tecnologiche.

Un’altra condizione importante è il parlare del disabile. Nella cultura da cui provengo è sempre stato molto difficile parlare di questo tema; si preferiva non parlare del disabile. Mi ricordo che spesso le famiglie nascondevano le persone con handicap. E questo impediva non solo al disabile di parlare, mettendolo di fronte a una barriera fisica, ma di esporre il suo problema a livello sociale. Io credo che una cosa importante sia riconoscere che tutti in fondo siamo disabili, è che questa barriera psicologica, culturale - quasi fisica - può essere superata. Quindi è basilare che sia giusto parlare del disabile, comunicare la disabilità come un problema che è di tutti.

In terzo luogo c’è la questione di come parlare con il disabile. Credo che tale questione sia estremamente importante perché permette alle persone di confrontarsi sui problemi reali, non tanto di soffermarsi su azioni solidaristiche, per comprendere che tutti noi siamo utili. Facciamo un esempio: le lingue. Tutte le lingue, vivono, cambiano; ma come e perché cambiano? Le lingue cambiano perchè arrivano a usarle delle persone che non le condividono pienamente, che non sanno tutti i vocaboli, che portano nuovi lemmi e nuove esigenze. Le lingue evolvono, vivono perchè di queste si impadroniscono persone diverse. E’ la diversità che porta alla vita.

C’e’ un libro molto bello uscito alcuni anni fa, “La classe creativa spicca il volo” di Richard Florida, che diceva una cosa molto importante: la creatività - quale espressione più alta dell’apprendimento - nasce solo quando si è di fronte alla diversità. Florida parlava di tolleranza della diversità. Io preferisco non parlare di tolleranza ma di riconoscimento della diversità come fondamento della creatività e

dell’apprendimento. Io credo che il riconoscimento della diversità di tutti sia un elemento indispensabile per apprendere personalmente e socialmente. Credo nel riconoscimento dell’importanza della diversità per l’apprendimento sociale; altrimenti apprendiamo ma non creiamo nulla.

Questo ci porta al quarto e ultimo concetto che riguarda la relazione tra comunicazione e disabilità: la necessità di un ambiente di apprendimento.

E’ importante che esista un ambiente sviluppato affinché permetta a tutti di esprimersi e di apportare il proprio contributo. E’ nato così il concetto di ambiente intelligente, il concetto di “design for all”, progettare per tutti. Un ambiente che permetta la comunicazione fra tutti gli elementi di diversità che rappresentiamo, nello stesso ambiente.

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