Welfare aziendale: a che punto siamo?
Annarita Tronchin
Pubblicato il 16/02/2018
Ultimo aggiornamento: 07/03/2018 alle 17:27
In una società in cui i servizi assumono connotati sempre più critici e rappresentano asset a forte valore economico e sociale, il welfare aziendale è un tema di grande interesse per il mondo aziendale.
Lo testimonia la risonanza e i risultati del primo Rapporto Censis-Euidaimon sul Welfare aziendale, presentato lo scorso 24 gennaio a Roma.
Il primo dato è di forte impatto: il valore del welfare aziendale in Italia è stimabile in 21 miliardi, una cifra davvero notevole. E’ questa la cifra che raggiungerebbero i servizi di tale comparto se questo modello fosse esteso a tutti i lavoratori del settore privato. Ma se questo obiettivo è lungi dall’essere raggiunto è perché sul tale argomento le conoscenze sono ancora poche, più o meno la metà dei lavoratori ne ha poco o nulla cognizione ma una volta sperimentati questi servizi il proprio gradimento e soddisfazione sono ampiamente condivisi.
Un elemento importante è che i lavoratori apprezzano più la possibilità di accedere servizi che gli aumenti salariali; ovviamente questo rimane vero solo dopo che gli stipendi hanno superato una soglia minima, sotto la quale il welfare aziendale diventa un succedaneo (inefficace) del reddito minimo richiesto.
Fra i servizi più richiesti ci sono l’assistenza sanitaria, la previdenza integrativa, i buoni-pasto e la mensa, i trasporti, i buoni acquisto, i servizi all’infanzia, i centri vacanza e, infine, il supporto alle spese scolastiche dei figli.
In molti casi, dunque, il welfare aziendale si configura come integrazione - se non sostituzione - di quello pubblico e, in tal senso, se ne comprende l’interesse da parte dei lavoratori, anche in un’ottica di continuità con i vantaggi dell’assistenza pubblica.
Gli intervistati affermano che il welfare aziendale migliora il clima nelle imprese anche se, come per altre percezioni, c’è un maggiore atteggiamento positivo nelle fasce più alte del personale che non tra le posizioni più basse.
In conclusione, in un contesto che cambia anche i salari mutano forma includendo non solo il denaro ma servizi a valore aggiunto, sempre più facilmente spendibili e con maggiore valore sociale e di più diretto impatto sulla qualità della vita delle persone.