Un ministro dell’innovazione? Quanto serve la politica alla ricerca?
Vanda Lombardi
Pubblicato il 31/05/2018
Ultimo aggiornamento: 18/09/2018 alle 17:33
L’ultimo in ordine di tempo è stato Carlo Mochi Sismondi che nei giorni scorsi ha proposto un Ministro per il Futuro, provocazione tra il serio e il faceto per sottolineare come la politica italiana stia ignorando la ricerca e l’innovazione.
Ma il tema del rapporto tra chi governa e chi studia e investe per creare sviluppo, è molto più antico e ci porta indietro nella Storia. Si può affermare che la supremazia dell’Occidente, coincidente con l’era Moderna, si basi proprio sullo sviluppo della ricerca scientifica, unita alla nascita degli imperi.
La curiosità e il metodo scientifico hanno spinto gli europei a superare i propri confini, costruire nuove tecnologie, fare scoperte praticamente in tutti gli ambiti di ricerca. Una elemento, questo, che fece la differenza rispetto ad altri grandi imperi che, in Asia e America, contavano su ricchezze maggiori.
Ma proprio l’approccio alla ricerca permise in poco tempo di sopravanzare su queste realtà e imporre la cultura Occidentale praticamente in ogni parte del globo.
Pertanto, a ben vedere - con la necessaria distanza e analisi - la ricerca è sempre stata un’ottima compagna della politica, e viceversa. Perché se è vero che le missioni esplorative del XVI secolo spinsero gli europei oltre i propri confini geografici e economici, questo è dovuto alla relazione circolare tra impegno politico (ed economico), da un lato, e risultati scientifici, dall’altro.
La criticità della relazione tra ricerca e politica è, dunque, un elemento abbastanza recente, in gran parte dovuto alle ricadute di scelte economiche e finanziarie che hanno invaso la sfera politica e sociale.
E’ giusto richiamare l’attenzione della politica all’impegno a supporto dell’innovazione ma questo andrebbe sottolineato come un pericolo per la politica stessa. Si dovrebbe far presente ai politici che non “sfruttare” la ricerca significa trovarsi alla guida di un’automobile senza motore. Proseguendo nella metafora, la ricerca e l’innovazione sono un motore che non può avanzare senza telaio, ruote e carrozzeria. Ma in ogni caso l’auto non cammina e i passeggeri - che poi saremo noi - rimangono a piedi.