Il lato oscuro dei social verso la normalizzazione?
Luigi Rosati
Pubblicato il 09/06/2018
Ultimo aggiornamento: 27/11/2018 alle 10:18
Si parla di assuefazione al fenomeno, nel recente studio presentato nell’ambito dell’iniziativa “Parole O_Stili” da parte di SWG sulla percezione del fenomeno dell’hate speech e delle fake news. Se lo scorso anno preoccupati dei contenuti di odio e rabbia sui social erano il 70% degli intervistati, ora risultano solo il 53%; anche rispetto alle fake news il calo va dal 65 al 59%. E si parla di normalizzazione perché circa il 66% delle persone coinvolte nella ricerca ritiene il fenomeno un elemento connaturato e non modificabile contro solo il 23% che lo giudica “passeggero”.
Una parte interessante dell’indagine riguarda il mondo delle imprese; il 58% dei dipendenti afferma che l'uso di linguaggio aggressivo e irrispettoso sia diffuso sul lavoro e che sia addirittura aumentato rispetto a 10 anni fa (per il 47%). L'81% dei dirigenti ritiene che le aziende siano bersaglio di odio e fake news e il 59% afferma di riscontrare difficoltà nel controllo della propria immagine online, soprattutto sui social. Ma come si possono attrezzare le imprese per gestire questo fenomeno? Secondo gli intervistati alle aziende mancano soprattutto competenze (42%), risorse umane (30%), approccio mentale e culturale al fenomeno (24%), investimenti (20%), pratica ed esperienza (18%). Per la quasi totalità dei dirigenti (95%) la buona educazione e il linguaggio incidono sulla brand reputation delle imprese, anche se il 43% ritiene che una pubblicità che utilizzi toni forti sia più efficace.
Dunque la questione della cattiva comunicazione online è un problema chiaro per imprese e lavoratori ma rischia comunque di essere sottovalutato, specie rispetto alle contromisure che si possono prendere per gestirlo e, più che altro, eliminarlo.