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Premio Lombardia è Ricerca

06/12/2019

Andrea Ferrari: “Grafene e materiali stratificati, un universo da esplorare”

Intervista al Direttore del Graphene Centre a Cambridge, giurato del Premio di Regione

Redazione Open Innovation

Redazione Open Innovation

Dalla laurea in Ingegneria Nucleare al Politecnico di Milano alla Direzione del Cambridge Graphene Centre (di cui è anche fondatore), uno dei massimi centri mondiali per lo studio di questo straordinario materiale bidimensionale dalle mille applicazioni e dalle grandi potenzialità per la ricerca.

Ecco il percorso di Andrea C. Ferrari, uno dei 15 top scientists scelti da Regione Lombardia per la Giuria del Premio internazionale “Lombardia è Ricerca” attribuito quest’anno al biologo molecolare Guido Kromer (per saperne di più, leggi qui).

Professore di Nanotecnologia, Direttore del Cambridge Graphene Centre dell’Università di Cambridge, Ferrari è anche Presidente del Management Panel della “Graphene Flagship”, progetto finanziato dalla Comunità Europea con un miliardo di euro per i primi 10 anni per lo studio di questo materiale, composto da uno strato di atomi di carbonio in formazione esagonale, resistente come un diamante ma flessibile come plastica, con proprietà elettroniche, ottiche, termiche e meccaniche del tutto peculiari.

Professore, quali sono le applicazioni già diffuse del grafene e quali qualità sfruttano?

“Si tratta di un materiale studiato ormai da oltre quindici anni, e anche in Italia da un gran numero di ricercatori. E i prodotti a base di grafene sono già molti. Ci sono sci e racchette da tennis, calzature da trekking o ginnastica, gomme da bici, una ditta italiana ha realizzato anche un casco da moto. In tutti questi casi il grafene garantisce una resa maggiore dal punto di vista meccanico - rende più robusto il prodotto, e insieme più leggero, o aggiunge maggiore capacità di scambio termico con l’ambiente: qualità utilizzata ad esempio nel caso delle scarpe o del casco.

Per quanto innovative però queste sono in realtà le applicazioni più semplici del grafene: quelle più complesse sono ancora in via di sviluppo nei laboratori, ad esempio quelle che guardano al 5G e al futuro delle telecomunicazioni”.

 

“Dal traffico dati che incide sul global warming, a una nuova generazione di batterie: il grafene permette trasmissioni più veloci con minore consumo di energia o una maggiore capacità di carica”

 

Cioè che impatto può avere il grafene sulla ‘rivoluzione’ del 5G?

“Anche su questo fronte c’è un importante contributo italiano, quello fatto dalla Ericsson a Pisa, dalla Nokia a Vimercate, dal Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Telecomunicazioni alla Scuola Sant’Anna di Pisa da cui vengono sviluppati dei modulatori di luce per la trasmissione di dati. In questo caso, il grafene permette di ridurre notevolmente il consumo di energia della trasmissione.

Per quantificarne l’impatto, basta pensare che già oggi il 4% del Global warming è dovuto proprio al traffico di dati: in futuro, il grafene permetterà di trasmetterli più velocemente e con un consumo energetico minore. Non solo: bisogna tener presente che una volta trasmesso, il dato deve anche essere riconosciuto dall’utente. A questo scopo si utilizza un foto detector, e anche qui il grafene permette di leggere il dato più velocemente e con meno energia rispetto alla tecnologia tradizionale. Questo materiale rappresenta insomma la scelta ideale, in un futuro in cui vogliamo trasmettere sempre più dati. E non solo per ridurre i consumi energetici, ma anche perché banalmente senza questa opzione e con un traffico dati crescente gli smartphone finirebbero con il consumare la batteria troppo rapidamente.

A questo proposito segnalo poi una nuova generazione di batterie, basate su silicio e grafene - a cui lavora tra gli altri l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova - di maggiore capacità o a parità di capacità di minor peso e minor volume. E ancora, ci sono già sul mercato cuffie audio basate su membrane al grafene, e tessuti resi ignifughi dal grafene già funzionanti in laboratorio e che ora devono venire testati per essere applicati”.

 

“Il grafene è solo il primo a una nuova classe di materiali stratificati, tra i 2 mila e i 5 mila: le potenzialità di ricerca sono infinite, ma per ciascuno occorrono 20-30 anni per passare dalla ricerca di base alle applicazioni”

 

Ci sono anche possibili applicazioni in ambito neurologico?

“Sì, ma molto futuribili. Parliamo infatti di sviluppi molto più a lungo termine, ovvero di una ricerca di base a livello di laboratorio. Per dare un’idea, comunque, posso citare la collaborazione con il professor Maurizio Prato dell’Università di Trieste (già giurato del Premio Lombardia è ricerca, ndr) che si occupa di bio applicazioni. Con lui abbiamo visto che il grafene può essere usato come substrato per lo sviluppo dei neuroni perché non lo danneggia, ma anzi lo favorisce.

Un altro progetto su cui stiamo lavorando è quello per tentare di riparare i danni al midollo spinale che provocano paralisi: si discute ormai della possibilità di ripristinare le connessioni nervose danneggiate utilizzando delle fibre, anche basate sul grafene o ricoperte da grafene, così come si ipotizzano retinal implant usando grafene per pazienti che abbiano perso la vista … Ma si tratta sempre, ripeto, di ricerche lo di base, a cui seguirà necessariamente un lungo percorso che richiederà test in vivo e nel complesso almeno 10-15 anni perché si possa arrivare ad applicazioni pratiche, dal momento che si dovrà partire da dimostrazioni di laboratorio già complete mentre in ambito neurologico non siamo ancora arrivati a questo traguardo.

In generale, è bene ricordare che la ricerca su ogni nuovo materiale - dalla sua scoperta passando per esperimenti fino alle applicazioni di massa - può richiedere anche 40 anni. Ebbene, sono passati ormai 15 anni dai pionieristici esperimenti sul grafene da parte dei fisici Andre Geim e Kostya Novoselov. Ci aspettiamo di assistere nei prossimi 5-10 anni al picco dello sviluppo delle ricerche su questo materiale e all’inizio delle applicazioni di massa: ma c’è ancora molta strada da fare. Anche perché ormai quando parliamo di grafene, questo ha significato molto più ampio di quello che pensiamo”.

In che senso? Cos’altro c’è da scoprire sul grafene?

“In questi 15 anni ci siamo resi conto - anche grazie al contributo di italiani come il professor Nicola Marzari, ora al lavoro in Svizzera - che il grafene è solo il primo a una nuova classe di materiali stratificati, che oggi stimiamo essere tra i 2 mila e i 5 mila. Ma di questi finora ne sono stati studiati solo 10-15 e non tutti con lo stesso approfondimento: il secondo materiale a essere stato riconosciuto come importante dalla comunità scientifica internazionale, il nitruro di borio, è ad esempio già molto meno indagato del grafene. Possiamo dire insomma di avere scoperto solo la punta della punta dell’iceberg.

Senza contare un altro aspetto estremamente interessante, studiato solo negli ultimi 5-6 anni e cioè noi possiamo sovrapporre due strati di grafene e possiamo farlo utilizzando angoli diversi. Succede però che a seconda dell’angolo scelto risulti un materiale isolante, semiconduttore o super conduttore, le cui proprietà dipendono quindi unicamente dalla disposizione dei layer e non dai materiali messi uno sopra l’altro.

Quindi non solo stiamo parlando di migliaia di materiali da esplorare, ma anche di migliaia di combinazioni possibili tra gli stessi materiali e per ogni coppia o tripletta di materiali anche di migliaia di disposizioni possibili gli uni rispetto agli altri. Questo è il dato eccezionale: ci troviamo davanti a una classe di materiali strutturati come dei libri, ovvero fatti di vari strati sovrapposti, che presenta una varietà pressoché infinita.

Si tratta di una prospettiva eccezionale dal punto di vista della ricerca di base. Questo significa però che per ogni nuovo materiale di questa classe, o per ogni nuova combinazione di materiali stratificati, ci troviamo davanti al solito ciclo di sviluppo di 20-30 anni necessario per passare dalla ricerca di base alle applicazioni. Come del resto è con le fibre di carbonio, per cui sono passati appunto decine di anni dalle prime investigazioni alle applicazioni su larga scala nel settore automobilistico, applicazioni anticipate nel circuito ristretto della Formula 1.

Lo sottolineo perché oggi purtroppo si tende a confondere lo sviluppo di materiali innovativi con quello dei software, nel qual caso è possibile che uno studente del secondo anno di università subito fondi una ditta diventando miliardario. Nel nostro caso parliamo invece di processi di ricerca e sviluppo decennali, che richiedono notevoli investimenti”.

Il centro che lei dirige con la Brexit si stacca dalla UE: che prospettive ci sono per l’Europa nello studio di questi nuovi materiali?

“Intanto diciamo che la Brexit dal punto di vista dei ricercatori non ha alcun senso … per quel che riguarda il grafene comunque l’Europa ha preso delle decisioni molto lungimiranti, che ci pongono fermamente davanti a qualsiasi altro paese. Ovvero l’attivazione del Graphene Flagship, programma di ricerca partito nel 2013 e di cui sono uno degli iniziatori. Questo programme è stato incluso in Horizon Europe, dunque può proseguire fino almeno al 2027.  Ora stiamo discutendo il livello dei finanziamenti nel periodo successivo al 2023. Grazie a questa iniziativa, l’Europa ha ispirato programmi simili in Cina, Singapore, Giappone e Stati Uniti. Non solo: l’UE ha altri strumenti per il sostegno alla ricerca come l’ERC (European Research Council) e le ‘mission’, che la pongono pure come leader mondiale nel finanziamento sia della ricerca di base che applicativa”.

Il Premio “Lombardia è ricerca” di cui lei è giurato parla non solo agli specialisti ma anche al grande pubblico…

“Per me è un’iniziativa molto importante, sono stato contento di venire coinvolto già da un paio d’anni in una giuria che comprende figure di altissimo profilo scientifico, così come è altissimo il livello delle nomine proposte per il Premio, e questo già pochi anni dopo l’avvio. Significa che ‘Lombardia è ricerca’ sta diventando un riconoscimento importante, spero abbia sempre più una risonanza pari a quella del Nobel, credo ne abbia tutte le possibilità.

L’edizione 2019 è stata particolarmente adatta al grande pubblico, l’Healthy Ageing è un tema comprensibile a tutti. E poi c’è anche l’incoraggiamento al vincitore, da parte della giuria, a sviluppare alcune linee di ricerca in Lombardia: anche questo mi pare molto positivo”.

 

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