Un satellite italiano per mantenere lo spazio pulito
Fabiana Cerrone
Pubblicato il 07/08/2017
Ultimo aggiornamento: 07/08/2017 alle 12:54
Nei laboratori della D-Orbit a Fino Mornasco (Como), è nato il satellite italiano D-Sat, che da fine giugno si trova nell’orbita terrestre con lo scopo preciso di rimuovere dall’orbita operativa gli oggetti residui di fine attività o, in caso di guasti rilevanti e di componenti di massa importante che hanno resistito all’impatto con l’atmosfera terrestre, controllarne il rientro sulla terra indirizzandoli verso zone prestabilite. Il tutto nel rispetto della normativa internazionale sui detriti spaziali e grazie all’utilizzo di un dispositivo innovativo, denominato D3, che viene installato sui satelliti prima del lancio. Si tratta di un motore indipendente e intelligente, specializzato nel compiere specifiche manovre di disattivazione e rientro, laddove la maggior parte dei satelliti oggi in orbita, invece, non prevede la specializzazione in manovre di fine vita.
Il satellite comasco, infatti, svolgerà la sua missione per 3 mesi, al termine dei quali effettuerà una manovra di rientro diretto sulla terra, avendo contribuito a mantenere pulita l’orbita terrestre col grande beneficio di ridurre non solamente i residui in sé, ma anche il pericolo di collisioni fra oggetti o fra questi ultimi e gli astronauti eventualmente impegnati in operazioni all’esterno.
D-Orbit è una start-up fondata nel 2011 da Luca Rossettini, brillante ingegnere aerospaziale italiano, appassionato di propulsione a razzo ed esperto di sostenibilità, formatosi al Politecnico di Milano, Dottorato di ricerca in Energetica e un’esperienza di lavoro alla Nasa. Rossettini è il classico – seppur purtroppo isolato – caso di ingegno italiano che decide di rientrare in patria per realizzare i propri progetti. Oggi il suo team conta circa 35 persone distribuite tra Italia, USA e Portogallo.
L’esempio di questa strat-up offre a mio avviso molteplici spunti di riflessione, primo fra tutti il potenziale dei giovani talenti che come Rossettini (fondatore di D-Orbit a soli 35 anni) hanno deciso di intraprendere un’esperienza all’estero, ma che non hanno poi fatto rientro a causa delle generali condizioni sfavorevoli alla valorizzazione della ricerca che caratterizzano al momento il nostro Paese. Secondo il vostro parere cosa sta cambiando, o è cambiato rispetto a questa condizione? Conoscete esempi simili a questo che vorreste condividere?